Una scuola per Mauro

Articolo di Fiorenzo Dosso

In greco il termine skholé inizialmente significava ozio, piacevole occupazione del tempo libero e si è velocemente evoluto in discussione, lezione, per poi ulteriormente estendersi sino a comprendere il luogo dove la lezione stessa veniva tenuta. Si è partiti quindi da un concetto di disimpegno per arrivare a quello – diametralmente opposto - di insegnamento, formazione, istruzione. Nessuna contraddizione, piuttosto il passaggio da una cultura elitaria riservata ai pochi che potevano permettersi del tempo libero ad una cultura invece accessibile a tutti per maturare coscienze e godere di vita autentica senza vincoli né catene. E se – dunque – scuola è insegnamento, formazione, cammino per arrivare ad una vita davvero libera da condizionamenti, chiusure mentali, stereotipi, luoghi comuni e banalità assortite non c’è nessuna contraddizione nel dedicare un indirizzo liceale ad un calciatore.

La carriera di Bellugi

Mauro Bellugi è stato un grande calciatore. Che è stato un grande uomo. Soprattutto quando la vita lo ha messo davanti a scelte drammatiche e momenti durissimi.

Mauro Bellugi è stato un grande difensore. In quel calcio degli anni ’70 e ’80 che – senza cedere a melense nostalgie o entrare in inutili confronti sul piano economico – era di altro spessore umano e valore sociale rispetto a quello sovradimensionato, cattivo, freddo ed arrogante di oggi. Lo scudetto (1971) a 20 anni nell’Inter che Gianni Invernizzi ereditò dopo 6 giornate da Heriberto Herrera (niente a che vedere con il mago!) e guidò a clamorosa rimonta sui cugini rossoneri, la precoce (1974) e misteriosa cessione al Bologna dove ebbe piena maturazione umana e tecnica, la stagione (1979-80) interlocutoria al Napoli e quella finale (1980-81) alla Pistoiese.

Calciatore nella Nazionale

Mauro Bellugi è stato uno dei solidi pilastri della Nazionale che Bearzot ereditò dalle fumanti rovine di Germania 1974 (quando Valcareggi gli preferì Francesco Morini) e portò all’ indimenticabile trionfo di Spagna 1982 (dove lo stopper era Fulvio Collovati). Nel 1978 al Mundial in Argentina, fondamentale trampolino di lancio verso il capolavoro di quattro anni dopo, il ct con la pipa si affidò incondizionatamente alla pulizia tecnica, al coraggio ed al senso dell’anticipo di Mauro per tenere sotto controllo i temibili centravanti avversari. Memorabile il suo duello – vinto alla grande – con il futuro capocannoniere del torneo, Mario Kempes davanti ai 70.000 del Monumental di Buenos Aires e – soprattutto – sotto gli occhi del feroce Videla (generale travestito da dittatore o dittatore travestito da generale ?).

La carriera dopo il calcio

Terminata la carriera Mauro si reinventò opinionista nelle televisioni locali. Trasferì anche al microfono – corroborate da un mix di gioiosa ironia, scanzonante sdrammatizzazione e gustosa goliardia – le caratteristiche che lo avevano contraddistinto da giocatore: lettura anticipata dell’azione, spiegazione impeccabile dei gesti tecnici, motivazione dei temi tattici. Insomma, sentirlo era un piacere ed un arricchimento.

Gli ultimi insegnamenti di Bellugi

La parte conclusiva della vita di Mauro – purtroppo – è storia recente. L’eterno ragazzo di Buonconvento ha affrontato il suo calvario, tra Covid e trombosi, proprio come aveva fatto in quel lontano giorno del ’78 con il temibile Kempes: senza paura, con orgoglio e con quel fare un po’ guascone che tanto ce lo ha fatto amare. Anche stavolta ha provato a giocare d’anticipo “Mi hanno detto: o ti tagliamo le gambe o muori. Di morire non avevo voglia e così mi hanno amputato. Anche quella con cui ho segnato l’unico gol della mia carriera al Borussia in Coppa dei Campioni. Sono senza gambe ma rinascerò. Prenderò quelle di Pistorius.”

Se scuola è insegnamento, Mauro Bellugi ne ha dati parecchi. Se scuola è apertura mentale, Mauro Bellugi ne ha avuta da vendere. Se scuola è cultura di vita, quella di Mauro Bellugi ne ha trasmessa tanta. Infine: Se scuola è esempio, quello del coraggio di Mauro Bellugi merita di avere l’immortalità garantita dalla intitolazione di un luogo dove i ragazzi di oggi imparano ad essere gli uomini di domani.