Un'altra medaglia - Racconto di classe


Un’ altra medaglia

Racconto di classe: 1A Liceo Scientifico Sportivo a.s. 2019/2020

Questa è fra le cose più belle della letteratura: scopri che i tuoi desideri sono universali, che non sei solo, che non isolato da nessuno. Sei parte di.

Francis Scott Fitzgerald

Prologo

Corro. Corro per non pensare e al tempo stesso corro per rivivere tutto ciò che mi è capitato negli ultimi anni, cose orribili e cose meravigliose.

Quando corro, mi sento libero e leggero. La pista che si apre davanti ai miei occhi mi appare come un magico tappeto che apre mille vie, mille prospettive, mille vie d’uscita. Non vedo i compagni che si allenano al mio fianco, non sento le urla del mio allenatore che mi incita e mi da’ indicazioni, ignoro il cielo che si stende sopra di me. Ci sono solo io e lo spazio davanti, che taglio con la mia corsa veloce. Voglio che la mia corsa sia veloce ma ordinata e metodica, come da sempre mi hanno insegnato gli allenatori. Mi hanno sempre criticato per la mia irruenza, mi hanno sempre spronato a gestire le mie forze, le mie risorse mentali, il mio fiato. Ma io fatico a seguire le mille indicazioni che mi danno, vorrei essere libero e sfrenato. So però che la disciplina è necessaria, sì, l’ho capito. Mi impegnerò per migliorare sempre di più, cercherò di diventare un atleta perfetto o quasi. So quanto sarà difficile, ma sento dentro di me una forza che mi trascina, in questo momento mi sento così vivo, così motivato. Mi sento pronto a mordere il mondo, a salire sempre di più, a crescere senza confini. Forse è perché ho passato momenti terribili, forse è perché so di avere sbagliato, di avere commesso numerosi errori. Sì, ho commesso tanti errori ma li ho sempre pagati tutti, li ho pagati con gli interessi e adesso spero tanto che sia giunto il momento del mio riscatto.

Ho sempre amato la specialità degli 800 metri piani. Da piccolo eccellevo in tutte le specialità ma quando mi è stato chiesto di sceglierne una non ho avuto dubbi. Gli 800 metri. Trovo che gli 800 metri siano la specialità più adatta per me. Con gli 800 metri posso fare emergere la mia velocità, la mia resistenza e la mia forza mentale. I primi 100 metri vanno percorsi all’interno delle corsie, ma poi è possibile uscire dalle corsie, e io adoro la sensazione di libertà alla fine dei 100 metri, sono imbattibile nel guadagnare la corsia più vicina all’interno della pista, la più vantaggiosa, la più ambita. E poi lo sprint finale, gli ultimi 200 metri, quelli che decidono tutto, i metri che divoro con la rabbia di chi ha sofferto tanto nella sua vita.

Sì, ho sofferto tanto nella mia vita. La mia esistenza non è stata facile fino ad ora. Non è stata facile per niente. La mia vita è stata molto diversa da quella della maggior parte dei miei coetanei, e a volte mi domando perché. Mi domando quale possa essere la ragione per la quale il destino mi ha riservato una vita così complicata, così in salita.

Ho 16 anni, quasi tutti i miei coetanei hanno avuto famiglie che li sostenevano, sono stati indirizzati, sostenuti. Hanno ricevuto consigli e incoraggiamenti. Io no. Io una famiglia vera non l’ho mai avuta. Sono cresciuto in una casa-famiglia, una di quelle organizzazioni che accolgono ragazzi con un passato difficile e cercano di aiutarli. Certo, ho incontrato molte persone buone che mi hanno aiutato e mi hanno voluto bene. Ho incontrato adulti che mi hanno incoraggiato a guardare avanti, a mantenere sempre vive la grinta e la forza di volontà. Non è stato per niente facile. No, non è stato facile e tante volte ho sentito salire dentro di me una grande rabbia per la montagna che mi sono ritrovato a dover scalare.

Ma non voglio parlarne, non mi piace parlarne. Non adesso. Ho bisogno di tempo per mettere ordine nei miei pensieri, ho bisogno di riflettere. Quando sarà il momento giusto, prometto che metterò nero su bianco tutto quello che mi è capitato. Forse potrebbe essere il modo per mettersi definitivamente alle spalle il passato e guardare al futuro con occhi diversi. Sì, prometto che lo farò presto, ma non adesso.

Tutto quello che mi è capitato negli ultimi tre anni mi appare così lontano, così distante. Mi sembra di essere stato protagonista di un film e non mi pare vero che sia stato io il protagonista di quel film. Ah, non mi sono ancora presentato: mi chiamo James, ho 16 anni e vivo a Milano. Per la precisione, abito a Milano nel quartiere di Affori, è lì che si trova la mia casa famiglia, è lì che vado a scuola ed è lì che mi alleno duramente, tutti i giorni, con il caldo e con il freddo, con la pioggia e con il sole. Non è facile gestire gli impegni scolastici e quelli sportivi ma adesso mi sento convinto e motivato. Gli allenatori mi incoraggiano e la Federazione mi ha detto che crede in me. Dicono che hanno visto pochi talenti come me correre gli 800 metri, dicono che parteciperò sicuramente alle Olimpiadi di Tokyo nel 2020. Dicono che credono tanto in me, nonostante la mia età ancora molto giovane. Del resto, non ci sono limiti di età per partecipare alle Olimpiadi. Dicono che contano su di me per la conquista di una medaglia, e dicono che potrebbe essere quella più ambita, quella d’oro, quella che potrebbe modificare per sempre il corso della mia vita. Sarà vero tutto ciò, potrà accadere davvero ? Non lo so davvero. Io cerco di non ascoltare questi complimenti continui ma non posso negare che la prospettiva di una medaglia a Tokyo 2020 mi elettrizza e mi fa sentire vivo come non lo sono mai stato.

Ho già detto che ho commesso degli errori. Lo so, ne sono conscio. Ne ho commessi diversi, alcuni stupidi, altri gravi. L’errore più grande l’ho commesso due anni fa, e l’ho pagato caro.

Io lo so che voi volete sapere di quale errore si tratta, volete sapere cosa ho combinato di così grave. Ma anche di questo non mi va di parlare. Ho messo una pietra sopra il mio passato e non mi va di sollevarla. Non adesso. Ok, visto che siete così curiosi vi dico solo che due anni fa mi sono reso complice di una rapina. Non volevo farlo ma qualcuno mi ha trascinato e ho pagato duramente con il carcere minorile. Basta, per il momento non voglio dire più di questo. Ne parlerò quando sentirò che è arrivato il momento giusto per farlo, e allora racconterò tutto quello che c’è da raccontare.

Adesso, le uniche cose che contano per me sono gli allenamenti e la scuola. E’ così difficile bilanciare lo studio e le gare, le interrogazioni e gli allenamenti, è così complicato, ma sento che ce la farò. Voglio farcela. Ho giurato a me stesso che non metterò mai più piede in un carcere minorile, e voglio rispettare questo giuramento.

Corro, sudo, mi alleno, faccio esercizi. In testa ho un pensiero fisso: Tokyo 2020. Non mi sembra vero di poter andare in Giappone, una nazione così lontana da me, mi immagino il Giappone come un luogo strano e caotico, se davvero riuscirò ad andarci spero di avere il tempo di visitare Tokyo, ho letto cose strepitose al riguardo, deve essere un posto magico e speciale. La grande area di Tokyo contiene 30 milioni di abitanti, quando ci penso mi emoziono e sogno ad occhi aperti.

In fin dei conti, una pista di atletica è sempre uguale ad un’altra. Correre sulla pista del mio centro sportivo ad Affori è la stessa cosa che correre su una pista olimpica di Tokyo. Devo restare con i piedi per terra e concentrarmi sull’obiettivo, non devo volare troppo con la fantasia. Correre è la mia vita, e questa volta non voglio perdermi.

Ho deciso di raccontare tutto quello che mi accadrà da qui alle Olimpiadi di Tokyo del 2020. Scrivere mi aiuta a riordinare le idee e mettere a fuoco gli obiettivi. Forse mi servirà anche a liberarmi dai pesi del passato, parlarne al momento giusto mi aiuterà. E’ un periodo decisivo per la mia vita, può essere l’anno della mia rinascita, dopo una vita in salita. Voglio condividere questo periodo speciale con chi avrà voglia di seguirmi e di leggere questo racconto.

Capitolo 1 (Davide Delaini)

Eccomi qua… Per chi non ha avuto il tempo o la voglia di leggere il prologo mi ripresento; mi chiamo James, compio sedici anni il 24 Dicembre, alla vigilia di Natale, non so se posso ritenermi fortunato o no. Sono nato in un paesino vicino a Medellìn, in Colombia, e sono arrivato in Italia soltanto perché nel mio paese le case famiglia erano troppo piene e grazie alla bontà di alcune persone italiane che mi hanno aiutato; e sì, io non ho una vera famiglia ma ho vissuto e vivo ancora in una casa famiglia; per chi non sapesse cosa siano, sono quelle strutture che accolgono minorenni abbandonati alla nascita o bisognosi di aiuto.

Adesso vivo a Milano precisamente nel quartiere di Affori, vicino alla stazione dei treni. Grazie all’aiuto di alcune persone che mi hanno preso a cuore, sto frequentando una scuola superiore, precisamente il Liceo scientifico Sportivo. Lo ammetto, non sono un genio a scuola ma mi piace la matematica e lo sport, soprattutto l’ atletica, infatti la pratico da parecchi anni. Nel mio paese dovevo correre per vivere, qui ho imparato a correre per sentirmi bene con me stesso e libero. Diverse persone che se ne intendevano, quando mi hanno visto correre, hanno detto che potevo avere un futuro, io, proprio io… quel ragazzino colombiano con alle spalle una vita difficile potrebbe avere un futuro luminoso e forse partecipare alle Olimpiadi ? Quando mi dicono così li guardo in modo strano ma ho deciso di non deluderli. Mi hanno consigliato questa scuola e voglio impegnarmi al meglio sia a scuola che nello sport, voglio sfidare il mio destino.

Quasi ogni mattina mi alzo alle 6.30 perché ho il mio allenamento mattutino, 100 addominali e 100 squat, è faticoso sia l’orario che il tipo di allenamento, ma è necessario per irrobustire addome e gambe, importanti per l’atletica, poi una bella doccia, colazione e via, inizia la mia giornata scolastica. Ovviamente per andare a scuola non uso i mezzi ma le mie gambe, perché il biglietto del tram non te lo regalano di certo. E poi, lo ammetto, non sono lontano dalla scuola e penso che camminare faccia parte del mio allenamento fisico.

Ogni tanto mi viene voglia di “balzare” la scuola, ma poi mi ricordo della promessa che mi sono fatto e che ho fatto ad altre persone e quindi prendo il mio zaino e vado a scuola.

In classe siamo in ventisei, la maggior parte ragazzi; la mia classe mi piace, andiamo tutti abbastanza d’accordo, le poche ragazze sono molto simpatiche…ma non posso distrarmi se voglio pensare al mio futuro. In questi anni ho legato in modo particolare con Lorenzo, oltre ad essere il mio compagno di scuola è anche compagno di atletica. Frequentiamo la stessa società e ci alleniamo insieme ma su specialità diverse. A Lollo, questo è il suo soprannome, piace la marcia ed è anche bravino, infatti la settimana scorsa ha partecipato alle nazionali di marcia a Grottammare nelle Marche ed è arrivato primo. La marcia è una disciplina bella da vedere ma quelle poche volte che l’allenatore me l’ha fatta provare i giorni dopo avevo dolore alle anche.

Oggi è una di quelle giornate impegnative, verifica di Epica e verifica di Fisica, devo rimanere concentrato e fare del mio meglio. Finalmente arriva la mia materia preferita, Scienze Motorie, oggi però il prof ha deciso di fare teoria e di non portarci in palestra, accidenti, dopo due verifiche di seguito ho bisogno di scaricare un po' di energia, non ce la faccio a stare seduto ancora. Cambio di programma: il prof alla fine ha capito che avevamo bisogno di “aria” e ci ha portato in palestra. Ottima scelta prof!

Finalmente la giornata scolastica è finita, usciamo dalla scuola, saluto i miei compagni e mi avvio verso casa, devo fare in fretta perché abbiamo gli orari per mangiare, se arrivi tardi in tavola non trovi più niente anche se Anna, che è la nostra cuoca, non ti lascia mai senza cibo.

Mi rinchiudo nella mia stanza, ormai non sono più un bambino quindi mi hanno dato una stanza tutta per me, piccolina ma almeno è tutta mia. Oggi niente compiti, quindi mi sdraio sul letto e sento un po' di musica dalla mia piccola radio, aspettando l’ora degli allenamenti. Alle 16 arriva Lollo, passa sempre lui a chiamarmi perché è sulla strada e a piedi andiamo al centro dove ci alleniamo; a volte dico al mio amico di non avere voglia e lui cerca di caricarmi in tutti i modi e ci riesce sempre.

Siamo arrivati, ci cambiamo negli spogliatoi e poi andiamo in pista, siamo un bel gruppo tra ragazzi e ragazze; iniziamo il riscaldamento, un po' di esercizio fisico bello pesante e poi ci dividono per la specialità. Io faccio gli 800 metri piani, mi piace questa specialità perché c’è velocità e resistenza insieme. Oggi il mio allenamento consiste in tre ripetute da 200 metri, tre ripetute da 400 metri, due ripetute da 600 metri con pausa di tre minuti e poi di nuovo in palestra, oggi l’allenatore vuole distruggermi le gambe. Allenamenti finiti, sono stanchissimo, mi avvicino a Lollo e gli dico che sono distrutto e soddisfatto, oggi ho lavorato bene.

Si torna a casa, ci accompagna la mamma di Lollo che viene sempre a prenderlo e cosi portano a casa anche me; devo ringraziare tante persone per quello che fanno per me e per la fiducia che mi danno.

E’ ora di cena, mangiamo tutti insieme, siamo una decina di ragazzini di età diverse nella casa famiglia e ci aiutiamo tutti, poi vado nella mia camera, una bella doccia e buonanotte ragazzi. Questa è una delle mie giornate scuola e atletica, non è facile soprattutto per me che arrivo da un passato difficile, ma non voglio arrendermi, voglio provare a farcela.

Capitolo 2 (Ludovico Pelanda)

Eccomi di nuovo qua… è passata una settimana dall’ultima volta che sono riuscito a scrivere, tra la scuola e gli allenamenti non ho avuto tempo.

Questa mattina mi sono svegliato prima del solito a causa del forte temporale che imperversa fuori. Odio quando succede. A me piace dormire perché in quei momenti non devo dimostrare niente a nessuno. È come se fluttuassi via dalla realtà, lasciando indietro il mio passato, andando in un mondo dove ci sono solo io ma un io diverso, un io felice.

Anche se mi sveglio presto, rimango a letto finché non suona la sveglia. Appena suona mi alzo e come sempre faccio i miei esercizi. Mentre mi alleno guardo l’acquazzone fuori dalla finestra che mi trasmette emozioni e pensieri negativi. Finisco velocemente gli esercizi per andare sotto la doccia, solitamente mi aiuta a sciacquare via la negatività. Sfortunatamente questa volta non funziona ed esco dal bagno per andare a fare colazione. La faccio in fretta, senza parlare con nessuno e appena finito torno subito nella mia stanza salutando e ringraziando Anna per il cibo.

Quindi mi lavo i denti, preparo la cartella ed esco. Arrivato alla porta mi accorgo di essermi dimenticato l’ombrello e vado a prenderlo correndo. Mentre cammino verso scuola butto un’occhiata dentro le macchine ferme al semaforo e vedo bambini, seduti dietro, miei coetanei, seduti davanti, parlare con i propri genitori, uomini da soli che ascoltano la radio, ma quello che mi ingelosisce di più è che loro sono tutti dentro le loro auto all’asciutto e al caldo mentre io sono l’unico per strada a piedi anche con questo tempaccio. Mentre lo penso mi guardo attorno: eh sì, eh sì, sono proprio l’unico a piedi. Ma chi può biasimare gli altri ? Con questo tempo non si vorrebbe neanche uscire di casa. Mentre guardo queste famiglie felici mi viene da pensare alla mia famiglia e al mio paese natale. Nella mia casa-famiglia nessuno sa niente a proposito dei miei genitori biologici, o almeno nessuno vuole parlarne. Tutte le volte che tocco questo argomento tutti mi rispondono, aprendo le braccia, che sono loro la mia famiglia. Ma io non li vedo come una famiglia, li vedo perlopiù come miei compagni di sventura. Anche loro abbandonati dai genitori.

Mentre rifletto su queste idee mi viene in mente una considerazione: oggi avevamo Scienze Motorie, un piccolo spiraglio di luce in questa buia giornata. E mentre ci penso allungo il passo per arrivare presto a scuola.

Arrivo a scuola cinque minuti prima dell’apertura e trovo Lollo ad aspettarmi sotto il porticato.

Appena suona entriamo, siamo i primi ad arrivare in classe e per fortuna riesco a prendere il posto vicino al calorifero in modo tale da asciugarmi. Lollo si siede vicino a me. Col passare dei minuti arrivano tutti i miei compagni e per finire il prof di Epica. Oggi facciamo “Apollo e Dafne”. Credo che io possa capirlo meglio degli altri poiché è come se questo mito rappresentasse la mia vita fino ad ora. È come se io fossi Dafne e il mio passato fosse Apollo. Lì vicino pronto a carpirmi. Però io non ho nessuno che possa aiutarmi, sono da solo e posso solo correre. Finita la lezione di Epica, tocca a quella di Fisica e la prof ci restituisce le verifiche della settimana scorsa. Ho preso sette. Evvai!

Conclusa anche questa lezione c’è l’intervallo. Io resto seduto a parlare della verifica con Lollo.

Suona la campanella e io sono felicissimo: adesso c’è Scienze Motorie. Mentre parlo con il mio amico, noto con la coda dell’occhio che il prof è entrato in classe, allora mi zittisco e mi giro verso la cattedra ma mi accorgo subito che lui non è il solito prof. Infatti è un supplente e rimarrà nella nostra classe fino a quando il solito prof non si riprenderà dalla polmonite.

Appena seduto prende il registro e incomincia a fare l’appello. Quando arriva il mio turno, alzo la mano per far capire al prof chi sono, lui mi guarda e in quel momento, mentre i nostri occhi si incrociano, nel suo sguardo noto qualcosa di strano. Poi continua con l’appello.

Terminato l’appello dice: ”Per conoscerci meglio ognuno di noi deve presentarsi”. ”Per iniziare”, continua, ”voglio che si presenti James”. Appena sento il mio nome impreco a bassa voce e riluttante mi alzo e mi incammino verso la lavagna. Mentre mi fermo vicino alla cattedra, guardo Lollo che mi fa un segno di incoraggiamento, poi mi giro e guardo il prof. Non so cosa dire ma lo sguardo insistente del prof mi spinge a parlare, quindi inizio dicendo: “Mi chiamo James, vengo da un paesino vicino a Medellín in Colombia e faccio atletica, per esattezza la specialità degli ottocento metri piani”. Mi fermo, non so cosa dire senza parlare del mio passato, allora preferisco stare in silenzio aspettando domande specifiche. Il prof vedendomi in difficoltà mi domanda: ”Dove vivi adesso? E i tuoi genitori che lavoro fanno?”. Io gli rispondo: “Abito in una casa-famiglia, i miei genitori non li ho mai conosciuti”. Guardandolo in faccia noto una certa soddisfazione, come se cercasse di arrivare proprio a questo punto. Vedendomi ancor più restio a parlare, il prof continua, incalzandomi con un'altra domanda: ”Visto che non li hai mai conosciuti, secondo te i tuoi genitori sarebbero contenti di te?”.

Queste domande mi sembrano strane, i professori non dovrebbero già sapere queste cose su di me? In quella situazione preferisco non lamentarmi, quindi gli rispondo dicendo: ”Non li conosco, quindi non posso sapere cosa penserebbero di me”. Ma al prof non va bene questa risposta e mi chiede: “Sei sicuro? Non hai fatto niente che avresti potuto evitare di fare ?”. In quel momento capisco dove il professore vuole arrivare. Vuole arrivare a parlare del mio passato. Io però non ne ho alcuna intenzione e infatti gli rispondo con un no secco. Il prof, deluso dallo sviluppo del discorso, conclude: ”Se lo dici tu mi fido, puoi andare al posto”. Ma io non ne ho alcuna voglia, quindi chiedo: ”Posso andare in bagno?”. Il prof con un cenno acconsente.

Mentre cammino verso il bagno mi scendono delle lacrime: questa “presentazione” mi ha turbato nel profondo. Durante il tragitto incrocio diverse persone, però abbasso lo sguardo e nessuno sembra notare le lacrime. Sto per entrare nel bagno quando una ragazza che avevo appena superato si ferma e mi chiede se sto bene. Io le rispondo di sì, ma probabilmente il mio tono di voce non la convince poiché lei mi si avvicina e mi dice: “Non pensare al passato perché non puoi più farci niente, ma vivi il presente in modo tale da avere un bel futuro”. Poi mi guarda, mi sorride e se ne va. Torno in classe dieci minuti dopo pensando ancora a quella ragazza e alle sue parole. Esco da scuola e cammino velocemente per arrivare in tempo per il pranzo.

Arrivo giusto in tempo per mangiare qualcosa, poi vado in camera a fare i compiti per il giorno seguente, aspettando che Lollo arrivi per andare agli allenamenti.

Alle 16 passa Lollo e insieme andiamo agli allenamenti. Oggi alleno il fiato e faccio 45 minuti di corsa lenta continuata, più alla fine un po’ di rapidità.

Alla fine, la madre di Lollo mi riporta a casa e dopo una veloce cena silenziosa vado a letto sapendo di aver avuto una brutta giornata. Ma prima di addormentarmi ripenso alla ragazza….

Capitolo 3 (Erika Petracchi)

È uno dei tanti mercoledì, la mia sveglia oggi non è suonata, o meglio, è suonata ma in ritardo, cosa che non mi era mai capitata in tre anni di scuola. Questa mattina, purtroppo, non ho potuto fare i miei soliti allenamenti mattutini vista l’ora, perciò, in fretta e furia, mi infilo i primi pantaloni che trovo vicino al letto, mi allaccio le scarpe e come una saetta mi precipito all’uscita.

Al piano inferiore c’è Anna che mi aspetta con una brioche pronta sul tavolo ma, preso dalla frenesia e dall’ansia di ricevere una nota disciplinare, le chiedo di tenermela da parte assicurandole che la mangerò più tardi.

Esco di casa, guardo l’orologio, sono le 8.15… dovrei già essere in classe a quest’ora. Mi metto a correre più veloce che posso e fortunatamente alle 8.20 sono davanti a scuola. Entro in classe scusandomi con la prof di Matematica, che si limita a guardarmi con aria infastidita. Per fortuna niente nota…

Finita la prima ora di lezione chiedo a Roberta, la mia compagna di banco, di passarmi gli appunti. Con la coda dell’occhio vedo lei, la ragazza che mi ha incoraggiato quando il supplente di Scienze Motorie mi ha fatto quelle domande inopportune. Scuoto la testa e cerco di allontanare la ragazza dai miei pensieri, ma più di tanto non ce la faccio. Mi attendono due ore di progetto scolastico a dir poco noiosissime e concentrarsi si rivela molto difficile.

Finalmente suona la campanella dell’intervallo e, insieme a Lollo, vado ai distributori automatici per prendere qualcosa da bere e da mangiare.

Improvvisamente sento una voce dietro di me che cattura la mia attenzione: “Hey, tu!”. D’istinto mi giro e vedo un viso conosciuto: ha dei capelli lunghi e neri che le incorniciano il viso, due splendidi occhi verdi, un nasino alla francese e una corporatura esile,di bassa statura. Rimango affascinato dalla sua bellezza e senza pensarci rispondo: “Hey ciao, io ti ho già vista”. Lei corruga la fronte, fa un sorrisino e dice: “Sì, sono proprio io la ragazza di ieri”. Rimango colpito dalla sua determinazione… non ho mai incontrato una ragazza con il coraggio di fare il primo passo. Fosse stato per me, timido come sono, probabilmente non ci saremmo mai rivolti la parola… Parliamo per tutti i venti minuti dell’intervallo e decido di chiederle il suo nome: si chiama Desirée, anche lei ha origini colombiane, anche se è nata in Italia.

Oggi, mercoledì, non ho avuto gli allenamenti. In questo giorno solitamente ci tengono a riposo, perciò,dopo la scuola, sono stato tutto il giorno con i miei amici della casa-famiglia a chiacchierare, ridere e scherzare. Mi sento su di giri.

Cala la sera, oggi non sono riuscito a mangiare più di metà piatto di pasta e una coscia di pollo, sono troppo euforico per l’incontro con Desirée.

Mi sento debole per la forte emozione della giornata, quindi mi dirigo verso la camera per riposare. Accendo il telefono e trovo un messaggio: “Ciao sono Desirée, io e i miei amici sabato sera andremo in un locale, ti va di venire?”. Chi le aveva dato il mio numero? Forse Lollo? Al momento non dò molto peso a questo dubbio, sono troppo emozionato per pensarci, quindi rispondo semplicemente: “Ciao Desiréè, ti faccio sapere al più presto!”. Spengo il telefono e lo metto in carica.

Anche questa sera penso a lei e mi addormento sperando di sognarla. Non vedo l’ora di rivederla domani per poterle parlare e conoscerla meglio.

Capitolo 4 (Federica Moreschi)

A che cosa penso prima di addormentarmi ? Penso che ogni persona abbia uno spazio vuoto nella propria vita. Penso che nessun ragazzo, che abbia sofferto, voglia ricordarsi di quei momenti. Di quei periodi che sono stati privi di luce, quando forse l’unica cosa che illuminava il cammino era il proprio senso di colpa.

Sono caduto molte volte e in buche tanto profonde, però sapevo di essere speciale. Non per tutti, ma solo per alcuni ed è di questo che mi importava.

Non me ne è mai fregato nulla di ciò che pensava la gente, ho sempre proseguito a testa alta, non abbassandomi di fronte alle avversità e accettando le sfide. Forse è stato proprio questo che mi ha fatto risalire, d'altronde chi non è mai caduto ? I modi per cadere possono essere gli stessi, ma la differenza è in come affronti le difficoltà. Mi reputo una persona particolare, non per il mio carattere, ma per la mia storia.

Forse è giunto il momento di raccontarvela o almeno di iniziare a dirvi ciò che mi ricordo.

Sono in questa casa famiglia da quando avevo due anni e mezzo. Non so come sia il volto di mia madre né quello di mio padre, l’unica cosa che mi è rimasta di loro è questa grande cicatrice che occupa metà della mia pancia e di cui non so nulla. È terrificante vederla, ma soprattutto pensare che possa essere stato uno di loro a causarla.

Dopo ho dei grandi vuoti di memoria. Mi sono sempre visto come un bambino sfortunato, ho sempre guardato la vita senza mai avere avuto qualcuno o qualcosa che si possa definire una vera famiglia e questo è a dir poco orribile.

Provate a pensare. Quando ero bambino sul palco, tutto eccitato per la recita di Natale, non vedevo l’ora di abbracciare i miei genitori, per mostrargli che sono bravo anche io. Ma l’unica persona che vedevo era la signora della casa famiglia che mi batteva le mani euforicamente.

In tutta la mia vita ho sempre avuto paura di perdere le persone che amo. A volte mi chiedo…c’è qualcuno là fuori che ha paura di perdere me?

Ricordo perfettamente quel palcoscenico, era grande, e per me, che ero ancora piccolino, poteva raggiungere anche l’altezza dei dinosauri. Ero così fantasioso da pensare che tutte quelle luci colorate fossero la criniera di un bel cavallo in grado di poterti portare tutta la felicità che desideravi. Ma soprattutto mi ricordo di tutti quei sorrisi, che erano veri. Non so se avete mai avuto l’occasione di saper trovare la differenza tra un sorriso puro e uno falso. Vi assicuro che quando la vita vi ha riservato qualcosa di irreale la gente, pur di non farti sentire solo, mente.

Ero bambino e come ho detto avevo anche una grande fantasia, ma la soddisfazione di parlare per ore con mia madre e mio padre di quel che avessi fatto, di rivedere ridendo i miei video, mi avrebbe fatto sentire più…non so come dire. Diverso.

Ero piccolo e non pensavo ad altro che al fatto che io fossi sbagliato. Che i miei genitori non mi volessero, che tutto questo fosse colpa mia. Sono cresciuto con la paura di non essere abbastanza, abbastanza per le persone che ti dovrebbero solo far imparare a sognare.

Sono cresciuto con le insicurezze che mi facevano credere che tutti gli errori che commettevano le persone fossero colpa mia e io so perché sono così. La mia vita qui dentro non è mai stata sempre tutta rose e fiori. Ho sempre raccontato le parti più belle, che sapevo avrebbero fatto sorridere chi le ascoltava, ma quelle forse sono solo il 10% della mia vita.

All’età di quattordici anni ho conosciuto una ragazza che era appena stata portata qui.

Non perdetti l’attimo e andai a parlarle. La accolsi e diventammo molto amici, lei mi ha fatto scoprire chi fossi, ma soprattutto capire chi sarei potuto diventare. Senza di lei non saprei come fare a proseguire. Mi ha portato a non perdere mai la fiducia in me stesso e mi ha insegnato molte cose, come ad esempio andare avanti senza pensare al mio passato. Perché d'altronde non posso cambiarlo, ma posso decidere del mio futuro.

Il suo nome era Sharon, aveva la mia stessa età. Il suo volto esprimeva molta sicurezza. I suoi occhi cristallini e i suoi folti capelli ricci mi davano l’impressione di stare in un film degli anni ottanta, quando le persone non avevano paura di farsi vedere per ciò che erano. Aveva un grande sorriso che arrivava a toccare le sue morbide guance e con le sue lentiggini che coprivano tutto il volto aveva un’aria di mistero. Era una ragazza molto dolce e sensibile, ma non si faceva mettere i piedi in testa. Penso che io e lei siamo molto simili. Oltre a Lollo, io non ho mai avuto nessuno su cui contare. Lei lo ha avuto, soltanto che le hanno voltato le spalle nel momento del bisogno.

Infatti aveva scoperto da circa un anno di avere una grave malattia. I suoi genitori, non potendo vederla soffrire così e non potendo permettersi di curarla, la avevano abbandonata. Era terribile, perché oltre ad essere su una sedia rotelle quasi del tutto paralizzata, i suoi genitori, coloro che avrebbero dovuto aiutarla, non c’erano più. Però, nonostante lei sapesse di avere pochi mesi di vita, era felice. Felice di trascorrere del tempo qui con persone che nonostante tutto avrebbero potuto capir. Io per questa ragazza ho sempre provato qualcosa di forte, un’emozione che mi faceva venire la pelle d’oca solo a guardarla. Un amore infinito per ciò che faceva, per la sua forza di lottare e di non mollare mai, ma d’altronde l’amore è solo un’amicizia impazzita. Mi ha insegnato molte cose, ma soprattutto mi ha insegnato a vivere come se ogni giorno fosse l’ultimo, perché niente è scontato.

Neanche il volo di una farfalla è così leggero, e io non sapevo che questa sarebbe stata la sua ultima battaglia.

Capitolo 5 (Davide Righetti)

Oggi è venerdì 22 Novembre e mancano un mese e due giorni al mio compleanno e alle vacanze di Natale.

Il venerdì è una giornata tranquilla a scuola, anche se le materie sono molto impegnative. Abbiamo due ore di italiano, un’ora di matematica, un’ora di chimica e un’ora di inglese.

Nella seconda ora di italiano il prof ci ha parlato della possibilità di partecipare a un viaggio di istruzione all’estero dopo le vacanze di Natale. Questo viaggio durerà diversi giorni e potremmo decidere tra tre destinazioni: Medellìn (proposta da me!), Dubai e una città irlandese.

Quando ho sentito che la destinazione poteva essere la mia città di origine mi sono emozionato molto. Ho pensato che avrei avuto la possibilità di conoscere i luoghi dove io e le persone che mi hanno messo al mondo siamo nati.

Dopo una lunga discussione il prof ha detto che non dovevamo scegliere la destinazione per forza oggi e che avevamo tempo per discuterne fra di noi e con le nostre famiglie dopo la scuola.

Io, che una vera e propria famiglia non l’ho mai avuta, ho già deciso dove voglio andare; il problema più grande è il costo del viaggio. Non saprei proprio come trovare i soldi.

All’intervallo ne parlo con Desirée, anche la sua classe andrà in viaggio di istruzione ma la loro destinazione è già stata scelta dalla scuola: Londra. Desirée mi dice che però non potrà andare perché il costo è troppo elevato. Lei e sua madre stanno già risparmiando per fare un viaggio in Colombia e passare un po’ di tempo con suo padre.

Sorpreso, le chiedo come mai suo padre è ancora in Colombia mentre lei e sua mamma sono qui in Italia. Desirée mi risponde dicendo che nel periodo in cui sua madre era incinta ha preso un volo per Milano poiché le condizioni in Colombia non erano delle migliori. Il costo del biglietto e il costo di una casa a Milano erano troppo alti e quindi si sono potuti permettere solo un biglietto e una casa in affitto. Da quel momento in poi il padre vive in Colombia sperando un giorno di avere i soldi per permettersi un volo per Milano.

Subito dopo che Desirée finisce di parlare suona la campanella. Dopo averla salutata torno in classe pensando alla storia della sua famiglia.

Finita la scuola torno a casa di corsa per mangiare, per pranzo il venerdì c’è sempre la pasta al ragù e un dolcetto al cioccolato che mi piace molto. Dopo essermi saziato vado in camera a riposarmi prima degli allenamenti che mi aspettano nel pomeriggio.

Appena mi sdraio sul letto mi addormento, mentre dormo sogno di essere in macchina con due persone, essendo nei posti dietro non riesco a vederli ma riesco a sentirli, chiamano il mio nome ma parlano in una lingua incomprensibile per me. Di colpo la macchina sbanda e prima di andare a sbattere mi sveglio; sono tutto sudato, è come se avessi vissuto veramente questa avventura.

Sono confuso.

Quando prendo il telefono mi accorgo di essere in ritardo per gli allenamenti e leggo un messaggio di Lollo che dice di essere già andato al centro dove ci alleniamo.

Mi vesto di corsa, prendo lo zaino e esco. Mentre corro per strada, penso al sogno che ho fatto e alla cicatrice che ho sul mio corpo.

Quando arrivo al centro il mio allenatore mi sgrida e come scusa uso la sveglia del telefono che non ha suonato.

Agli allenamenti del venerdì il mio allenatore mi fa fare sempre una parte di corsa e una parte in palestra dove alleno i diversi muscoli, soprattutto quelli che correndo non alleno.

Finito l’allenamento la mamma di Lollo mi porta a casa, affamato divoro sia il primo sia il secondo.

Il resto della serata la passo con i miei amici finché non decidiamo di andare a letto.

Prima di addormentarmi penso sia alla storia che mi ha raccontato Desireè sia al sogno che ho fatto nel pomeriggio.

Dopo alcuni minuti il sonno si impadronisce di me e mi addormento.

Capitolo 6 (Ivan Sartorato)

Siamo al 13 di dicembre ed è il giorno in cui gli alunni della classe sono chiamati a decidere la meta del viaggio d’istruzione programmata per il rientro dalle feste natalizie. Come sempre mi sveglio alle 6:30 e, dopo aver svolto i miei esercizi mattutini, mi preparo ed esco dalla mia stanza per andare a fare colazione. Mangio la mia brioche, mi metto lo zaino in spalla ed esco.

Sono veramente curioso di sapere quale sarà la destinazione del viaggio d’istruzione, ovviamente spero con tutto me stesso che sarà Medellìn , però ho la vaga impressione che non sia la città più ambita da un ragazzo della mia età. L’annuncio verrà dato alla penultima ora, così cerco di far passare le prime tre ore il più velocemente possibile. Finita la terza ora c’è la ricreazione che, per la prima volta, non vedo l’ora che finisca. Sembra non finire più, sono i venti minuti più lunghi della mia vita… ma ad un certo punto la campanella suona e io non sto più nella pelle. Entra il prof in classe e, dopo aver fatto l’appello, ricorda alla classe che è necessario decidere definitivamente la meta del viaggio. Così inizia a scrivere alla lavagna i nomi di tutte le possibili destinazioni, tra le quali ognuno di noi deve sceglierne una. Il prof comincia a chiedere a ciascun alunno in ordine alfabetico quale città gli piacerebbe visitare. Quando arriva il mio turno affermo con decisione di voler andare a Medellìn. Al momento dell’ultimo voto Dubai e Medellìn hanno pari voti, ma per fortuna l’ultimo dell’elenco è Lollo che dopo un attimo di esitazione dà il suo voto a Medellìn. Inutile dire che sto esplodendo di gioia, l’ultima ora non riesco a concentrarmi sulla lezione.

Finita questa attesissima giornata scolastica torno alla casa famiglia per pranzare. Però c’è un problema: non so chi mi pagherà il viaggio, e questo mi rende pensieroso. Cerco di restare tranquillo e di convincermi che in qualche modo anche io riuscirò ad andare con la classe a Medellìn.

Come sempre, alle 16 passa Lollo a citofonare per andare agli allenamenti. Appena lo vedo ripenso al suo voto decisivo e lo ringrazio. Mi confessa che a lui sarebbe piaciuto un sacco visitare Dubai, ma essendo mio amico ha deciso di votare per farmi un favore e un po’ anche perché in fondo si era incuriosito anche lui di conoscere la mia storia. Agli allenamenti libero la mia testa da tutti i pensieri e mi impegno al massimo per migliorare, con il fine di raggiungere il mio obiettivo.

Come di consueto, finiti gli allenamenti passa a prenderci la mamma di Lollo. Tornato alla casa famiglia non vedo l’ora di andare a tavola poiché, dopo un’impegnativa giornata di allenamenti, mi è venuta una fame da lupo. Finito di cenare, stanco, mi infilo il pigiama, mi lavo i denti e infine vado a letto. Tutto d’un tratto inizio a vedere qualcosa, un altro sogno… Casualmente il sogno è lo stesso della scorsa volta: io in una macchina, con due persone davanti delle quali non riesco a vedere il volto, che pronunciano il mio nome e infine la macchina che esce di strada. Così mi sveglio, sudato e preoccupato, poiché non è la prima volta che sogno questa scena.

Inizio ad avere il sospetto che non sia solo un sogno qualunque, ma una specie di ricordo. Il mattino seguente la prima cosa che faccio appena mi sveglio è scrivere a Lollo dell’accaduto, il quale mi convince che tutto ciò è solo frutto della mia immaginazione.

Dopo essere uscito dalla mia camera mi dirigo a fare colazione, quando tutto d’un tratto l’amministratrice della casa famiglia mi chiama in disparte per parlarmi di un fatto abbastanza misterioso: qualcuno ha deciso di pagarmi il viaggio d’istruzione anonimamente. Probabilmente qualcuno affezionato a me, ma quello che vorrei sapere è chi è stato e perché.

Lunedì mi sveglio ancora con il pensiero rivolto al quell’anonimo che ha deciso di pagarmi il viaggio d’istruzione. Dopo aver fatto l’occorrente esco per andare a scuola. Davanti all’ingresso incontro Lollo che si ricollega al mio sogno assicurandomi di nuovo che non gli devo dare peso.

Quando finisce di parlare non esito un attimo ad informarlo di ciò che è successo. Subito, come anch’io ho fatto appena ne sono venuto a conoscenza, Lollo inizia a interrogarsi su chi possa essere stato. Come se non bastasse, lungo il tragitto per entrare in classe incrocio il supplente di scienze motorie che mi fissa con uno sguardo strano e particolare, come se mi volesse far capire qualcosa. Per il resto la giornata scorre tranquilla. Arrivata l’ora di cena consumo il mio pasto, vado in camera mia e dopo aver preparato tutto per domani vado a letto, dove dopo pochi minuti mi addormento.

Capitolo 7 (Alberto Fedele)

Sono passati dieci giorni e finalmente ci sono le vacanze di Natale, la cosa che mi piace di meno di queste vacanze è che non ho nessuno con cui passarle. Non ho nessun vero parente, però ogni anno la mia casa famiglia mi fa delle bellissime sorprese. Quest’anno sento che potrebbe essere un Natale diverso dagli altri…

Finalmente è il giorno del mio compleanno! Sono felicissimo e domani è anche Natale, quindi riceverò doppi regali come ogni anno. Lollo mi ha invitato a casa sua e mi ha permesso di invitare qualche nostro amico o amica e sottolineo amica, perché ho invitato Desirée!

Devo un sacco di favori a Lollo, è una persona fantastica e sono orgoglioso di essere suo amico. È pomeriggio e con Desirée, il mio compagno di classe Alessio e Giorgia, amica di Lollo, per fare compagnia a Desirée, altrimenti sarebbe stata l’unica ragazza, siamo arrivati a casa di Lollo.

Dopo un po’ di tempo che eravamo insieme Lollo mi ha convinto a dichiarare il mio amore alla ragazza dei miei sogni. Ho parlato a lungo con Desirée, ci siamo detti tante cose carine e alla fine del pomeriggio le ho detto che mi piaceva molto e che sarebbe stato meraviglioso fidanzarmi con lei. Desirée inizialmente mi ha guardato con aria persa ma poi dopo aver ragionato un attimo mi ha risposto: ”Certo, anche tu mi piaci molto, l’hai capito adesso ??”. In quel momento mi sono sentito come sulle nuvole, senza pesi del passato sulle spalle; pensavo solo al presente. Senza pensare a chi ero, l’ho abbracciata.

Ero talmente felice dell’accaduto che non mi ricordo più nulla di quel pomeriggio, ricordo solo il calore dell’abbraccio tra me e Desirée.

È la mattina di Natale e appena alzato vado subito a controllare se ci sono regali sotto l’albero e per fortuna ne è colmo! Cerco quali sono i regali per me e ne trovo solo due, un regalo anonimo e un regalo da parte della casa famiglia. Non capisco chi sia questo “donatore” anonimo ma sicuramente voglio scoprirlo, sarà forse uno dei miei genitori ?

E’ passata una decina di giorni e la mattina, appena alzato, esco un po’ con Desirée, mi piace l’idea di poter passare del tempo con lei prima della fine delle vacanze di Natale… Manca solo un giorno!

Io e la mia ragazza siamo andati verso il parchetto che c’è vicino alla nostra scuola e abbiamo incontrato il supplente di Scienze Motorie, lo abbiamo salutato, noi ci aspettavamo un semplice saluto ma lui invece ha risposto con uno sguardo enigmatico e girato l’angolo lo abbiamo perso di vista.

A me e a Desirée quel comportamento sembra davvero strano perché anche prima delle vacanze di Natale aveva avuto questo comportamento: secondo Desirée potrebbe essere lui il responsabile della donazione per la gita e del regalo… A me sembra davvero strampalata questa ipotesi, e poi perché ? Devo scoprirlo!

Capitolo 8 (Matteo Bonino)

Sono arrivate le pagelle via e-mail ai miei tutori, che le hanno spedite all’amministratrice della casa famiglia. Ad uno ad uno ci ha chiamati in camera sua per discuterne. Ero molto preoccupato, anche perché sapevo di essere a rischio in inglese, ma speravo che il prof non mi mettesse l’insufficienza.

Nella mia casa famiglia ci sono delle regole ferree che comprendono la scuola, l’attività fisica che ognuno di noi ragazzi fa il pomeriggio e la convivenza.

Nessuno di noi vuole che arrivi il periodo delle pagelle, perché le punizioni non sono ben accette da nessuno. Ci chiamano in ordine di età, dal più grande al più piccolo e di solito io sono sempre in mezzo. Quando mi chiamano, salgo le scale che conducono alla camera della direttrice ed entro da quella porta che non indica mai niente di buono. Cerco di entrare in modo spavaldo, per far sembrare a Marina (l’amministratrice) di non essere preoccupato, cosa non vera.

Quando entri, Marina ti fissa con uno sguardo che non lascia trapelare la minima emozione; quello sguardo non riesci a sostenerlo e poco dopo sei costretto ad abbassare gli occhi in attesa. Marina non mi è simpatica; trovo che si senta troppo superiore, ma la cosa peggiore di lei è che è sempre troppo seria. Secondo me, neanche io le sto simpatico, e quando entro e mi siedo mi dice sempre: “Ok, ma ti potevi impegnare di più”. È la frase che voglio sentire, perché vuol dire che non ho insufficienze e sono salvo. Mi lancia la pagella stampata e mi dice di uscire. Quando ho un’insufficienza non va così: diventa furibonda e mi mette in punizione per settimane.

Per lo scorso Natale abbiamo ricevuto in regalo un biliardino, ma è sempre occupato, eccetto quando noi tutti siamo a scuola. Siamo in dodici e c’è sempre la fila per utilizzarlo. A me piace giocarci la sera con Michael, Jacopo e Sara; facciamo sempre delle partite epiche degne di un mondiale. Purtroppo Michael e Sara hanno avuto alcune insufficienze in pagella e quindi per due settimane non potranno usare né il biliardino, né il ping pong che ci hanno regalato questo Natale. Per un po’ dovremo giocare solo io e Jacopo. Mi dispiace per gli altri, perché non so cosa faranno tutto questo tempo, ma so che se la caveranno, perché ci siamo passati tutti da questa situazione, almeno una volta.

Oggi è ricominciata la scuola ed è martedì. Ciò significa…Scienze Motorie! Non sto più nella pelle, perché ci hanno detto che dopo le vacanze di Natale sarebbe tornato il prof titolare. Cerco di far passare le ore precedenti il più velocemente possibile e durante l’intervallo aspetto Desirée davanti alla sua classe per stare un po’ insieme. Aspetto, ma niente; allora chiedo ad un suo compagno di classe se oggi c’è Desirée a scuola e lui mi risponde di no. Non sono preoccupato e visto che Desirée non c’è, cerco Lollo e passo l’intervallo parlando con lui di atletica.

Finito l’intervallo siamo in attesa del prof e…oh no! Ancora lui, il supplente! Ma quando torna il vecchio prof ?!?

Tutto a un tratto la mia felicità svanisce e la mia mente torna indietro. Rivedo quel momento: il prof supplente che mi chiede del mio passato e poi ecco il sogno. Per un istante vedo nitidamente la figura seduta a destra del guidatore che si gira verso di me, che sono dietro: mora, occhi marroni e pelle olivastra. Mi prende la mano e…

Sono talmente immerso nei miei ricordi che non sento il prof, che mi sta facendo una domanda. È la voce di Lollo che mi sveglia. Mi volto verso di lui, che mi fa cenno di girarmi, mi giro e c’è il prof che mi guarda. D’istinto bofonchio un: “Scusi prof…”, ma vengo zittito dall’insegnante, che stranamente non mi rimprovera, ma inizia a fare l’appello come se niente fosse.

Alla fine delle lezioni torno a casa e mi si palesa davanti Marina che dice: “complimenti!”. Io un po’ spiazzato la ringrazio e cerco di superarla per andare a posare lo zaino in camera mia; lei allora mi blocca e mi porge una lettera. Io la guardo e poi guardo la lettera, e vedo scritto sulla busta: FIDAL.

All’inizio non capisco e poi… tutto a un tratto divento un fulmine, prendo lettera e cartella, e in men che non si dica sono sul mio letto sdraiato ad aprirla: una convocazione per le gare di qualificazioni alle Olimpiadi per gli 800 metri piani ma, ed è un grosso ma, la gara si terrà a Roma. Subito sprofondo nel letto: devo parlare con il mio allenatore, bisogna organizzare la trasferta di Roma.

Squilla il telefono e rispondo. È Lollo che mi dice di essere stato convocato anche lui per le qualificazioni.

“Dove?” gli chiedo.

“A Roma, tra un mese.”

“Anch’io sono stato convocato a Roma tra un mese per le qualificazioni”.

“In quale giorno?”, mi chiede incuriosito.

“Il 10 febbraio!”, rispondo raggiante.

“Anch’io! Ci andiamo insieme?”.

Non aspettavo altro e acconsento felice; mi sembra di essere l’uomo più fortunato del mondo. Scendo euforico e mentre mangio racconto tutto ad Anna, che felice mi ascolta e mi chiede dettagli che io non so darle.

Torno in camera, ma non ci penso proprio a fare i compiti… Chiamo Desirée e quando mi risponde noto che ha una brutta voce e le chiedo come sta. Mi risponde che ha solo l’influenza e che per qualche giorno non andrà a scuola. Subito le racconto della convocazione e lei molto felice mi assicura che se starà bene per il 10 verrà certamente a vedermi.

Non ho mai aspettato con così tanta voglia gli allenamenti e quando Lollo mi citofona, scendo subito di corsa. Ci salutiamo e ci battiamo un cinque pieno di affetto e felicità. Durante l’allenamento mi impegno al massimo, tanto che alla fine mi reggo in piedi con difficoltà e mi devo fermare in spogliatoio cinque minuti per riposare.

Ceno e, riposato e ristorato, vado a giocare a ping pong con Jacopo. Nonostante io abbia appena iniziato a giocare, mi diverto comunque, ma ben presto smetto perché i miei compagni mi hanno fatto una sorpresa e ho trovato una torta sul tavolo della cucina con una scritta: “GRANDE JAMES!”

Capitolo 9 (Sofia Balconi)

In questi giorni mi sto allenando intensamente, dato che la prossima settimana starò a riposo perché partirò per la gita scolastica che da tanto aspettavo.

Fino ad ora non sono mai stato così felice, ogni giorno sono sempre più elettrizzato per le qualificazioni di Roma e perché finalmente sto per realizzare i miei sogni. Dopo tutto quello che mi è capitato e che ho combinato posso dire…“ci voleva!”.

Però nella mia vita non tutto è ancora chiaro.

I misteri della gita pagata, del supplente di scienze motorie e il sogno ricorrente mi stanno tormentando e a volte non riesco a pensare ad altro.

Tra l’altro è da un po’ di tempo che non sento Desirée, a parte qualche messaggio ultimamente non ci siamo parlati; io non ho insistito a chiamarla perché mi ha detto di avere l’influenza e ho pensato di lasciarla riposare in modo che si possa riprendere in fretta.

Con Desirée mi piace tanto parlare perché con lei mi sfogo e non ho filtri, lei mi dà sempre degli ottimi consigli, diciamo che lei è il mio “porto sicuro”.

Ma adesso è troppo tempo che non ci sentiamo, la cosa mi preoccupa e quindi ho deciso..la chiamo!

Il telefono squilla più volte invano, finalmente Desirée risponde; ci salutiamo ma non è la solita ragazza che conosco, la sua voce sembra preoccupata. Desirée mi chiede di incontrarla nel pomeriggio.

Io non posso fare altro che accettare, chiudo la chiamata ed esco immediatamente di casa per non arrivare tardi a scuola. Sono inquieto. Cosa dovrà dirmi Desirée? Adesso i miei pensieri sono sempre più confusi...la gita…il supplente…Desirée…

La giornata a scuola scorre abbastanza bene, anche se durante l’intervallo confido a Lollo la mia preoccupazione per Desirée e lui, da buon amico, mi rassicura e consola. Mi torna il buonumore e cominciamo a fantasticare e a parlare delle Olimpiadi di Tokyo.

Immagino di essere pronto in pista, con l’adrenalina che mi scorre nelle vene. Lo starter dà la partenza, corro concentrato, mi sembra di volare, mi sento libero, il pubblico grida frasi di incitamento e quasi sembra pronunciare il mio nome...poi la voce di Lollo mi riporta alla realtà.

Arriva presto il pomeriggio e dopo pranzo mi organizzo per incontrare Desirée; preparo anche la borsa per l’allenamento che avrò più tardi. In questi giorni devo impegnarmi duramente per migliorare al massimo i miei tempi.

Alle 15.00 io e Desirée ci vediamo sotto casa sua.

“Ciao Desy ...come stai? ... mi sei mancata tanto ...” le dico.

“Anche tu mi sei mancato tantissimo” risponde lei con tristezza.

Desirée mi abbraccia con forza, come se fosse un ultimo abbraccio e mi dà un bacio.

“Cosa ti sta succedendo? Mi preoccupi”, le chiedo ansioso.

A questo punto Desirée scoppia in lacrime. Decidiamo di avviarci verso una panchina e di sederci. Desirée si tranquillizza e inizia a raccontarmi quello che le sta succedendo.

Sua mamma ha deciso di tornare definitivamente in Colombia e a breve partiranno. Se da una parte conoscere di persona suo papà sarà bellissimo, dall’altra lasciare l’Italia la spaventa tantissimo.

Con sua mamma aveva parlato in passato di risparmiare soldi per un viaggio in Colombia ma non pensava di doverci rimanere definitivamente.

Desirée ha conosciuto suo padre solo tramite Skype, negli ultimi anni lo ha sentito spesso e si è fatta raccontare della difficile vita in Colombia, dove il tasso di criminalità e violenza è molto elevato. Il papà le ha raccontato anche tanti aspetti positivi; le ha detto che la Colombia è un paese stupendo, perché puoi visitare la foresta amazzonica, le aree desertiche, le piantagioni di caffè e ha un mare meraviglioso perché affaccia in parte sul Mar dei Caraibi e in parte sull’Oceano Pacifico.

Desirée sta facendo di tutto per far cambiare idea alla madre perché la vita in Colombia per loro sarebbe troppo difficile e perderebbe tutto…amici…scuola…me e forse anche un futuro.

Ascolto il racconto di Desirée con tristezza, poi l’abbraccio e le assicuro che lotterò con lei per non farla partire o per lo meno non definitivamente.

Ci alziamo dalla panchina e iniziamo a camminare silenziosi, saluto Desirée e le prometto che la chiamerò presto.

Oggi ho deciso di andare agli allenamenti a piedi e da solo, ho bisogno di riflettere su tutto quello che mi sta accadendo.

Mi avvio pensieroso verso il campo di allenamento e mi sembra che le emozioni mi travolgano e che la testa mi stia per scoppiare…da una parte l’eccitazione per le qualificazioni, dall’altra la paura di perdere Desirée.

Ad un certo punto sento un rumore di passi che piano piano si avvicinano a me.

Mi giro ma non vedo nessuno, forse è il supplente di Scienze Motorie ? O è la mia immaginazione che mi sta giocando brutti scherzi?

Accelero il passo per arrivare più velocemente possibile agli allenamenti.

Prima o poi devo scoprire la verità, devo capire tutto ciò che mi sta accadendo, altrimenti rischio di impazzire.

Capitolo 10 (Giulia Calati)

Ho appena finito di allenarmi, oggi l’allenamento è stato molto duro, dato che tra meno di due giorni mi aspetta una prova importantissima per la qualificazione alle Olimpiadi di Tokyo. Adesso che ci penso è durato anche più del solito, circa mezz’oretta in più; probabilmente anche gli allenatori ci tengono a farmi passare il turno in modo che io riesca a qualificarmi, per me sarebbe un sogno…

Finiti gli allenamenti mi faccio una doccia veloce e poi la mamma di Lollo viene a prenderci per portarci a casa. Anna stasera ha preparato un buon risotto giallo; finita la cena vado nella mia stanza, penso un po’ a ciò che mi è capitato in questi giorni, al probabile viaggio di Desirée in Colombia, al mistero del supplente di Scienze Motorie, alle qualificazioni di Roma, per le quali dovrò dare il meglio di me. Stanco e assonnato, mi addormento.

Oggi è sabato, giorno di riposo, tra meno di 24 ore dovrei essere in pista, questo mi turba molto dato che sono in ansia: la qualificazione determinerà il mio futuro. Inoltre sono preoccupato per Desirée, ci incontreremo nel pomeriggio, parleremo del suo futuro e di che cosa sua madre deciderà di fare.

Questa mattina decido di andare in giro con la mia bicicletta, mi dirigo verso il parco e incontro il supplente di Scienze Motorie; è lui che mi riconosce e mi ferma. Ci sediamo su una panchina e per prima cosa parliamo della gita. Lui non è venuto con noi e quindi gli racconto quello che abbiamo visitato e dove siamo stati, poi parliamo di sport, delle mie qualificazioni di domani e delle eventuali Olimpiadi di Tokyo.

Dopo un po’ che discorriamo provo una sensazione stranissima: mi rendo conto di averlo già visto da qualche altra parte, molto prima che lo conoscessi a scuola. Sono certo di avere già incontrato il suo volto nel passato, ma non mi ricordo come, dove, quando…eppure un sentimento inspiegabile mi dice che ci siamo già incontrati.

All’improvviso un lampo, una freccia che mi trafigge: come ho fatto a non accorgermene subito ? Dei ricordi lontanissimi si ricompongono nella mia memoria…sì, io ho già incontrato questa persona in Colombia, quando ero ancora bambino, prima che venissi qua in Italia! Era un amico dei miei genitori, ed è uno dei pochi volti che io mi possa ricordare, a parte il loro; e poi, adesso che ci penso, lui ci ha detto di aver vissuto per un certo periodo in Sud-America. A questo punto, con il respiro affannato per l’emozione, non aspetto un secondo a chiedere al prof se quello che mi ricordo è corretto. Lui sorride, allarga le braccia e mi risponde confermando, aggiunge anche che è stato lui a pagarmi la gita. Lavorava con mio padre prima che io nascessi. Erano rimasti amici fino a quando il professore ha deciso di trasferirsi in Italia, da lì in poi non si sono più sentiti, anche se è riuscito ad avere notizie tramite amici comuni. Mistero risolto ? Sono incredulo, stupito e commosso: non esito un secondo a ringraziarlo ma ancora non riesco a crederci, mi sembra una vicenda incredibile ! Ora la verità è venuta a galla, è una coincidenza inspiegabile ma mi sento sollevato. Nei prossimi giorni parleremo con calma e cercherò di ricostruire tutto, potrebbe essere la svolta decisiva per conoscere il mio passato di cui so così poco. Tutto ciò mi riempie di speranza, ma mi spaventa al tempo stesso. Adesso, però, altri due pensieri mi passano per la testa: le qualificazioni di domani e la decisione della mamma di Desirée.

Torno a casa e scrivo a Desirée per sapere a che ora ci incontreremo oggi pomeriggio e lei mi propone di vederci per le 4. Pranzo e incomincio a leggere il libro che Lollo mi ha regalato per Natale; è un bel libro, parla di un ragazzo che fa sci ad alti livelli; purtroppo si è infortunato ed ha rischiato di non partecipare ai campionati invernali. Lui però ce l’ha messa tutta e con molto allenamento è riuscito a rimettersi in forma e a partecipare. Sono arrivato fino a questo punto, non vedo l’ora di continuarlo per capire che cosa sia successo. Ora però mi devo preparare perché è arrivata Desirée e mi sta aspettando sotto casa. Scendo e la vedo diversa rispetto all’ultima volta, sembra molto contenta. Le chiedo subito qual è stata la decisione di sua mamma. Lei mi dice che ci ha pensato bene e ha capito che non era il caso di lasciare l’Italia. Ha deciso di andare in Colombia, stare lì solo due settimane, soltanto per salutare i suoi genitori, stare un po’ con loro e poi ritornare in Italia. Sono molto contento perché mi sarebbe dispiaciuto rischiare di non vederla più per tutta la mia vita e mi accorgo che anche lei non è più triste come prima ed è più sollevata. Aggiunge anche che domani verrà a Roma per vedere la mia gara e tifare per me.

Ritorno a casa tutto contento, svolgo un po’ dei miei esercizi, mi rilasso sul letto ascoltando della musica e poi ceno. Oggi è stata una giornata molto impegnativa, quindi penso che mi addormenterò molto velocemente e mi risveglierò domani, sarà un giorno molto importante. Sono le 8 in punto, mi alzo, svolgo gli esercizi mattutini, faccio un’abbondante colazione, mi lavo, mi vesto con la tenuta sportiva e poi aspetto sotto casa il pulmino della squadra che mi porterà alla stazione, dove prenderò il treno per Roma. Salgo sul pulmino e vedo che Lollo, venuto per sostenermi, mi ha tenuto un posto di fianco a lui. Mi siedo e mi metto le cuffie per rilassarmi; lo faccio sempre quando sono nervoso… Dopo circa un’ora raggiungiamo la stazione e aspettiamo che arrivi il treno. Intanto visito la Stazione Centrale e giro per i negozi. Non sono mai venuto qui, quindi sfrutto tutto il tempo a disposizione per osservarla il più possibile.

Sento l’annuncio del mio treno e così mi dirigo verso la banchina, saliamo, mi siedo di fianco a Lollo e discutiamo delle cose che ci sono capitate in questi giorni. Non ho mai viaggiato in treno, è la prima volta. Arriviamo a Roma dopo tre ore e mezza di viaggio, prenotiamo un taxi e ci dirigiamo verso la pista da corsa.

La giornata è bellissima, c’è un cielo limpido e un sole che riscalda abbastanza, pur essendo inverno. Mi avvio verso lo spogliatoio e mi cambio, sono ancora più nervoso di prima, cerco però in tutti i modi di farmi passare l’ansia che è dentro di me e penso a tutt’altro. Sento una voce che chiama i concorrenti, pronuncia il mio nome, esco dallo spogliatoio e mi dirigo verso la pista. Noto che tantissima gente è venuta a vedere le qualificazione e così mi rendo conto che è una gara molto più importante di quanto io credessi.

Mi posiziono sui blocchi e aspetto il segnale della pistola. Oltre a me ci sono altri sette ragazzi della mia età. Vogliono anche loro qualificarsi. Penso che sarà una gara molto combattuta. BANG! Parto, sono molto concentrato, sono in quinta posizione ma penso di potercela fare. Si qualificano solo i primi tre. Mancano ancora 400 metri… Penso: “Sì, ce la posso fare! Voglio qualificarmi!”. Ne supero uno, me ne manca ancora uno e poi mi qualifico, rimangono ancora 200 metri, cerco in tutti i modi di superarlo, non ci riesco, va troppo veloce. Nel finale uso tutte le forze che mi rimangono, riesco a superarlo, rimangono ancora 10 metri…Sìììì…mi qualifico! Sembra un sogno! Non pensavo di potercela fare, sono felicissimo.

Ora mi sento euforico, tutta l’ansia che avevo si è trasformata in una gioia immensa che mi ricorderò per tutta la vita. Devo pensare alle Olimpiadi, in questo momento però voglio godermi la vittoria. Sono sfinito, penso di non avere mai corso così tanto in una gara e di non aver mai fatto così tanta fatica. Corro in spogliatoio, ad un certo punto sentiamo bussare alla porta, è Desirée. Mi fa i complimenti e così le dò un grande abbraccio. Le dico di aspettarmi fuori dallo spogliatoio, il tempo di farmi una doccia e vestirmi. Sono pronto, insieme a lei e a Lollo ci dirigiamo verso una pizzeria e, finita la cena, verso l’albergo. Domani mattina ritorneremo nel luogo della gara per le premiazioni e poi ritorneremo a Milano.

Capitolo 11 (Leonardo Lenelli)

Sono alla stazione di Roma con tutta la squadra, con me ci sono Lollo e Desirée, il treno sta per arrivare e presto farò ritorno a Milano nella mia casa famiglia. Quando faccio delle belle prestazioni nelle gare, tutti i ragazzi della casa mi fanno i complimenti, sono sicuro che l’avranno vista in TV.

Il treno è arrivato, saliamo tutti e si riparte, direzione Milano. Nelle ore di viaggio penso a una cosa che, con tutto ciò che era successo, Desirèe, la gara, mi era proprio passata di mente, ovvero la gita. Sì, da poco avevo fatto quel tanto atteso viaggio e con tutto ciò che era successo non ci avevo pensato più di tanto, così durante il tragitto sul treno mi tornano alla mente quei momenti.

Eravamo partiti da Milano al mattino presto verso le sette, il viaggio sarebbe durato quasi venti ore e saremmo arrivati verso l’una di notte. Era la prima volta che prendevo l’aereo, o per meglio dire la seconda, poiché ero troppo piccolo per ricordarmi di quando arrivai in Italia.

Dopo aver fatto il check-in, ci imbarcammo e partimmo. Anche se era la mia prima esperienza di volo non avevo paura, a differenza di Lollo che era così terrorizzato che non riusciva a guardare fuori dal finestrino poiché soffriva di vertigini. Il viaggio era lungo ma riuscii a trovare comunque qualcosa da fare nell’attesa del tanto desiderato arrivo che, dopo diciannove interminabili ore, avvenne con il nostro sbarco a Medellin. Seguimmo i prof che ci accompagnarono al pulmino che ci avrebbe portato al nostro albergo. Arrivati in hotel, ci assegnarono le camere, io ero con Lollo e un altro mio compagno di nome Luca. Una volta sistemati i bagagli, andammo a dormire essendosi ormai fatta notte fonda.

Ci svegliammo quasi a mezzogiorno essendo andati a letto molto tardi il giorno precedente; prendemmo parte ad un brunch, per poi partire col pulmino per iniziare a visitare la città.

Il primo posto che visitammo fu il Parque Explora, un museo di scienze oltre che un grande acquario. Mi piacciono molto gli acquari, a differenza di Lollo che invece era molto più eccitato per il museo scientifico. Così rimasi da solo con Luca e fu l’occasione per conoscerlo meglio. Scoprii che i suoi genitori lavoravano molto all’estero e spesso proprio a Medellin. Mi raccontò meglio dei luoghi che avremmo visitato, in un attimo eravamo diventati ottimi amici. A scuola non avevo mai passato molto tempo con lui poiché sto quasi sempre con Lollo. Ad un certo punto arrivò uno dei professori, aveva un’espressione gioiosa e ci disse che tra un po' saremmo dovuti tornare al bus, così insieme a Luca ci dirigemmo verso il pulmino.

All’uscita c’era una postazione con una macchina fotografica, si potevano fare degli scatti con un fondale che creava delle illusioni ottiche. Luca, Lollo ed io non ci lasciammo scappare questa possibilità di tornare a casa con un ricordo particolare. Ci richiamarono perché il pulmino era già pronto a partire, mancavamo solo noi. Una volta saliti a bordo, partimmo per far ritorno in albergo e dopo una graditissima cena, visto che la giornata di visite ci aveva messo una fame spaventosa, ognuno fece ritorno alla propria camera, e dopo poco ognuno di noi prese sonno.

La mattina dopo la sveglia era molto presto, ci aspettava la visita all’Arvi Park di Medellin: un parco naturale immerso nel verde dove è possibile passeggiare, andare in bici, andare in canoa o a cavallo.

Arrivati all’ingresso del parco prendemmo una cabinovia che ci portò ad un’altura, dalla quale partiva il sentiero che ci eravamo ripromessi di percorrere. Il luogo e la situazione ci avevano emozionato, motivo di ciò era anche la vegetazione colombiana, così varia e differente da quella a cui eravamo abituati. Partimmo per l’escursione, formando una lunga fila dietro alla guida che era affiancata dal nostro professore, il quale aveva sempre il sorriso stampato sul volto.

Durante tutta la gita, la nostra guida non si risparmiò nemmeno un momento nel fornirci una serie di informazioni infinite sulla flora e la fauna presenti nel parco. Stanchi, ma felici per la lunga camminata, arrivammo al nostro bus. Luca era particolarmente a pezzi. Pensai che questa escursione sarebbe servita a Lollo e me anche come buon allenamento per le gambe e per il fiato in vista delle nostre imminenti gare di atletica. Era quindi giunta l’ora di fare ritorno in albergo, per la cena tipica colombiana. Ci servirono la bandeja paisa, piatto tipico. Contiene fagioli, riso, carne asada (arrostita), chorizo (salsiccia), uova fritte, arepa (piccolo pane circolare preparato con mais bianco) e chicharrón. È solitamente accompagnato da avocado, pomodoro e salse. Al primo assaggio potei subito constatare la particolarità di questo piatto rispetto alle mie abitudini alimentari, però lo apprezzai, probabilmente anche per le mie origini colombiane. Diversamente, Lollo e Luca non erano della mia stessa idea…

Il giorno seguente, il terzo di permanenza a Medellìn, fu quello dedicato alla visita dell’Antioquia Museum e del Medellìn Modern Art Museum.

Il vasto museo di Antioquia lo visitammo per la vastissima raccolta di sculture e pitture del grande artista Fernando Botero, di cui la città è luogo di nascita. Alla fine della mostra, che trovai bellissima, ero fiero di essere nativo della stessa città di questo ottimo artista.

Il pomeriggio invece, lo dedicammo alla visita del Medellìn Modern Art Museum, un’esperienza differente da quella del mattino, si trattava di opere moderne che in alcuni casi facemmo fatica a comprendere e ad apprezzare.

Dopo il rientro in albergo e la cena, si decise di fare una serata tranquilla in hotel, la fatica delle giornate di visite iniziava a farsi sentire.

Dedicammo il nostro quarto giorno di permanenza nella città colombiana, meta della nostra gita, alla visita del centro e della cattedrale dell’Immacolata Concezione. Giornata tranquilla, durante la quale riuscimmo a fare anche un po' di shopping di souvenir e altro. Io per esempio comprai dei pensieri per ognuno dei ragazzi della casa famiglia e un regalo speciale per Desirée. Non vedevo l’ora di poterglielo consegnare.

In quei giorni, girando per la città, non potei fare a meno di pensare che una delle case che incrociammo avrebbe potuto essere quella nella quale avevo passato i miei primi anni di vita. La curiosità e il pensiero per i miei genitori non mi abbandonarono per tutta la durata della nostra permanenza a Medellìn.

L’ultimo giorno di gita ci recammo allo Stadio Atanasio Girardot di Medellín. Ospita le partite casalinghe dell'Atlético Nacional e del Deportivo Independiente Medellín. Fu il luogo del nostro incontro con la scuola di calcio della Comuna 13, baraccopoli simbolo della Medellín violenta ai tempi di Pablo Escobar e dei suoi narcos. Anche la nostra scuola aveva partecipato, attraverso il lancio di un’asta virtuale di vini, a trovare i fondi, insieme agli amici italiani di “Aiutami a giocare”, per la realizzazione del progetto. Al termine della partita ci venne data la possibilità di incontrare anche il giocatore Didier Delgado, che ci raccontò cosa significa fare sport in Colombia, attraverso una piccola intervista che ci concesse.

Alla sera, con ancora negli occhi e nella testa tutti gli incontri fatti in questa particolare ultima giornata di permanenza in Colombia, già con la malinconia per il ritorno a casa e l’abbandono di questi luoghi, che per me rappresentavano la mia terra natia, iniziammo a fare le valigie.

Finiti i bagagli, non ci restava che passare l’ultima notte in albergo poiché l’indomani ci aspettava un aereo che ci avrebbe riportati in Italia, nella nostra città, nella nostra scuola, con tante cose da raccontare ai nostri amici e tante esperienze che avremmo ricordato a lungo.

Senza che nemmeno me ne accorgessi, il ripensare alla fantastica esperienza che era stata la nostra gita scolastica mi ha catapultato direttamente alle porte della stazione Centrale di Milano. La trasferta della nostra squadra di atletica sta per concludersi, presto farò ritorno tra i miei compagni della casa famiglia. Ho voglia di arrivare in fretta da loro, perché sono sicuro che mi faranno festa per l’ottimo risultato ottenuto a Roma.

Capitolo 12 (Sofia Candio)

Arrivato a casa dopo le qualificazioni di Roma, la casa famiglia mi ha preparato una piccola festa. Avendo seguito tutta la gara in televisione, sono riusciti a preparare tutto in tempo. Anna ha preparato un sacco di cose squisite, mi sono ingozzato principalmente di pizzette. Io adoro le pizzette, sono state le prime cose che mi hanno dato da mangiare nella casa famiglia appena sono arrivato.

Questa piccola festa mi fa capire che non bisogna avere tutto per essere felici. E’ vero, a me servirebbe il supporto dei miei genitori, questo mi renderebbe ancora più felice ma non tutti gli atleti possono avere una festa a sorpresa appena tornati da una gara, questa è stata una delle piccole cose che porterò sempre con me e che è riuscita a farmi sorridere.

Desirée al ritorno in treno credo mi abbia ripetuto centomila volte quanto era orgogliosa di me e che era felicissima di avermi visto correre. Anche adesso ci stiamo scrivendo e mi sta dicendo quanto è contenta.

Domani è lunedì e si riparte con la solita settimana di scuola e di allenamenti, ora il prossimo obiettivo è Tokyo 2020 e dovrò allenarmi sodo perché io voglio vincere. Vorrei dedicare questa vittoria a tutti coloro che mi sono stati sempre vicini e ai miei genitori. Nonostante la loro assenza, spero che con il cuore si ricordino di avere un figlio qui, in Italia. Adesso, grazie al prof supplente di Scienze Motorie, spero di riuscire a ricostruire il mio passato: sarebbe così importante per me… Molte volte sogno le Olimpiadi, proprio l’attimo dell’arrivo, quando metti il piede davanti alla linea che indica che tutto è finito, sogno i miei genitori in tribuna che fanno il tifo, contenti di avere un figlio come me, che è riuscito ad arrivare a così tanto pur essendo solo un ragazzino, ma poi mi risveglio e tutto

ritorna alla realtà, tutto ritorna come prima, come è sempre stato: niente genitori, solo la casa famiglia.

A scuola sono entrato in seconda ora. Andare a letto all’una di notte per parlare al telefono con Desirée non mi ha permesso un risveglio “tranquillo”. I miei risvegli non sono mai tranquilli, alla fine mi alzo sempre presto, però oggi proprio non riuscivo a muovermi. E’ suonata la sveglia ma ho richiuso subito gli occhi; ho iniziato a sognare di nuovo, alla fine tutti i sogni che faccio arrivano sempre ad un punto in cui i miei genitori appaiono e infine svaniscono, fermando il sogno.

Stamattina la mia sveglia è stata Anna, è venuta a bussarmi perché non vedendomi scendere per la colazione si è preoccupata. Le ho detto che era tutto ok e che mi stavo preparando. Sono sceso per fare colazione e le ho spiegato tutto, lei mi ha detto che ne avrebbe parlato con Marina, l’amministratrice, dicendole che sarei entrato in seconda ora.

Appena arrivato in classe molti dei miei compagni, avendo visto anche loro la gara, si sono messi ad urlare il mio nome tutti in coro, sembrava di essere allo stadio. Tutto ciò mi ha trasmesso un sacco di adrenalina che ho portato con me per tutta la giornata di scuola e anche agli allenamenti, tanto da aver fatto il tempo migliore in allenamento sulle ripetute.

Ho passato tutto l’intervallo con Desirée. Mi ha raccontato della reazione di sua mamma quando le ha detto che ero riuscito a qualificarmi. E’ scoppiata ad urlare di gioia, era orgogliosa che Desirée avesse incontrato un ragazzo come me.

Desirée mi rende felice ogni attimo, sa sempre come trattarmi, se sono triste mi rende felice e se sono felice mi rende ancora più felice.

È l’unica che è riuscita a farmi vedere il mondo da un’altra prospettiva, mi ha insegnato a vederlo a colori e non in bianco e nero, con lei tutto ha un senso, la sua presenza risponde alle mille domande che mi faccio ogni volta.

Ci terrei un sacco a farla conoscere ai miei genitori, se un giorno dovessero tornare: secondo me sarebbero contentissimi, lei è una ragazza speciale con un carattere unico che piace a tutti, è per questo che la amo. Eh già, ho detto che la amo…non l’ho mai detto a nessuna ragazza. O meglio, a lei non l’ho ancora detto di persona, l’ho solo pensato...ma cercherò di farlo presto.

Capitolo 13 (Isabella Ruspi)

Finalmente questa settimana è finita, sono stanchissimo e non vedo l’ora di arrivare a casa e buttarmi sul letto. In questi giorni ho avuto molto da fare, tra studio e allenamenti sono esausto; ma per fortuna c’è Desirée, siamo stati molto insieme e mi ha aiutato a studiare. Lunedì ho fatto la verifica di italiano, una riflessione critica sull’amore...

Quando mi è stato consegnato il foglio con la traccia, leggendola mi è venuta in mente lei, la mia Desirée, e non ho potuto non raccontare dell’amore che provo per lei. Mi sta cambiando le giornate, ogni giorno mi sveglio felice, con il sorriso sulle labbra e una voglia matta di vederla e abbracciarla. Da quando ci siamo conosciuti sono cambiato, non sono più il James di prima, mi ha dato la forza di andare avanti, ogni giorno sempre di più.

Voglio passare più tempo con lei, voglio conoscerla meglio, voglio farle capire quanto tengo a lei, voglio dirle quello che provo per lei, quanto mi piace! Ma forse per lei non è tutto così intenso e magari se esagerassi con le esternazioni del mio amore potrebbero rovinarsi il rapporto e la confidenza che si sono costruiti finora. E’ vero, stiamo insieme e non dovrei avere questi dubbi ma forse è meglio aspettare un po’ di tempo e conoscerla meglio prima di dire certe cose. Forse è meglio attendere…

È arrivato lunedì, sono già stanco al pensiero che devo ritornare in classe e rivedere i professori, il weekend è volato via in due secondi. Fuori dal cancello di scuola incontro Desirée, ci salutiamo e decidiamo di entrare insieme; la accompagno fino alla sua classe, ci accordiamo per vederci all’intervallo e poi io vado nella mia classe. Finalmente finisce anche la terza ora, mi metto il giubbino e vado da lei. Mentre parliamo le chiedo se sabato sarebbe libera per uscire e fare qualcosa insieme, cinema o McDonalds, niente di troppo impegnativo, solo per stare un po’ insieme. Lei pensa qualche secondo alla risposta ma poi dice di sì annuendo con la testa. Non vedo l’ora, sono troppo felice! Sembrano non passare più i giorni e io sento sempre di più l’ansia che cresce. Durante le lezioni i professori mi richiamano dicendomi di stare attento ma non riesco a smettere di pensare al suo sorriso e ai suoi occhi che mi guardano. Sono proprio cotto di lei.

Gli allenamenti procedono nel migliore dei modi, sto dando il massimo di me stesso, non sapevo di poter dare così tanto. Un giorno, uscendo dal campo, scorgo Desirée e decido di andarle incontro: mi dice che è venuta per vedermi, che è curiosa di sapere come mi alleno. Subito dopo è calato il silenzio, tutti se ne sono andati, la mamma di Lollo è fuori ad aspettarmi per portarmi a casa, ma io e lei siamo lì, uno di fronte all’altro che ci guardiamo negli occhi, in attesa che qualcuno dica o faccia qualcosa, ma non succede niente. Il tempo sembra essersi fermato e tra me e me penso che questo è il momento giusto per baciarla, allora la avvicinò a me, la guardo negli occhi, con delicatezza mi avvicino a lei e la bacio. Non sa se dire qualcosa, fare qualcosa o rimanere lì dov’è in silenzio e ferma. Per un attimo le manca il fiato, non riesce a credere a quello che è successo, è senza parole perché non pensava potesse accadere. Non capisco se sia felice o triste ma neanche il tempo di dirle qualcosa che mi bacia lei, e vi lascio solo immaginare cosa sia successo poi. Dopo questa serata, breve ma piena di emozioni, posso considerarmi il ragazzo più felice del mondo. Non riesco ancora a realizzare quello che c’è stato tra noi, pensavo che sarebbe stata un po’ sulle sue e invece no…non riesco ancora a crederci!

Sono arrivato a casa ancora incredulo, quindi mi precipito in camera e mi butto sul letto, prendo il telefono e chiamo Lollo per raccontargli tutto. Credo che non mi abbia mai sentito così tanto felice.

E’ passato qualche giorno… Mi sveglio di colpo e guardo la sveglia, segna le 11. 30, allora ripenso a cosa avrei dovuto fare: oggi è sabato e alle 12 ho appuntamento al Mac con Desirée!

Mi alzo dal letto, vado a prendere i vestiti, mi dò una sistemata ai capelli, esco di casa e corro a prendere l’autobus. Per poco ho rischiato di perderlo. Alla quinta fermata scendo, vedo Desirée che mi aspetta guardandosi intorno. La raggiungo e la saluto, ci guardiamo negli occhi per qualche secondo, le dico quanto è bella, lei arrossisce sorridendo. Mentre ordiniamo da mangiare le dico che avrei pagato io per entrambi e dopo un po’ di “discussione” riesco a convincerla. La vedo un po’ rigida, imbarazzata, ma cerco di metterla a suo agio facendola ridere, senza affrontare discorsi relativi a quella serata. Si è tranquillizzata, probabilmente vederci solo io e lei dopo quella serata l’ha messa un po’ a disagio. Abbiamo finito di mangiare ma rimaniamo ancora lì seduti a parlare e scherzare, dopo un po’ ci alziamo e andiamo a fare un giro nel centro di Milano, in Duomo.

Il tempo sembra volare, in un attimo sono già le 17, ci avviamo verso casa e decido di accompagnarla, dato che si è fatto buio e non voglio lasciarla sola. Siamo davanti a casa sua, stiamo per salutarci ma la fermo cingendola con un braccio, giro un po’ intorno al discorso e le dico che mi piace tanto, che è una ragazza speciale in tutto, che mi piace per quello che è, che non la cambierei per nessun’altra. Sobbalza dalla gioia dopo aver sentito queste mie parole, mi guarda e mi abbraccia fortissimo, io ricambio felicissimo. Dopo esserci guardati negli occhi ci baciamo e io le dico che sono felicissimo che lei sia la mia ragazza…lei mi abbraccia di nuovo. Ci salutiamo con un ultimo bacio e vado a casa. È veramente una ragazza fantastica, non so come farei senza di lei ora che è diventata così importante. Finalmente oggi posso dire di stare con la ragazza migliore di tutte.

Capitolo 14 (Camilla Riva)

Eccomi qua! Sono passati circa dieci giorni dall’ultima volta che sono riuscito a scrivere. Con gli allenamenti, la scuola e Desirée non ho avuto proprio tempo per rilassarmi e dedicare tempo a me stesso. In questi giorni voglio concentrarmi sull’atletica, voglio essere pronto per le Olimpiadi, mi sento assillato da questo pensiero, ho paura di deludere tutti. Oggi pomeriggio, come d’altronde tutti i giorni, Lollo viene a chiamarmi per andare agli allenamenti. Insieme ci dirigiamo verso il centro sportivo. L’allenatore mi ricorda che questa domenica ci sarà una gara, mi ero proprio dimenticato, avevo già programmato di uscire con Desirée... Terminati gli allenamenti, la mamma di Lollo ci viene a prendere e mi riaccompagna a casa. Sono esausto, giusto il tempo di sistemare la borsa e mi addormento.

E’ domenica mattina, sono carico, è da almeno due settimane che non faccio una gara. Sono circa le 9 del mattino e la mamma di Lollo viene a prendermi per portarmi alla gara. La devo ringraziare molto, è anche merito suo se sono arrivato dove sono ora. Non so se qualunque altra madre si sarebbe resa disponibile per portarmi sempre alle gare.

Eccola che arriva, con la sua macchina rossa che quando passa viene guardata da tutti. Salgo, saluto Lollo e partiamo. Fortunatamente il posto è vicino, ci impieghiamo poco a raggiungerlo. La gara inizia alle 11 ma il nostro allenatore fissa sempre il ritrovo un’ora e mezza prima.

Arrivo, sono un po’ in anticipo e mentre aspetto gli altri e l’allenatore, ripenso un po’ alla mia storia con Desirée: questa settimana abbiamo litigato spesso per cose banali e come se non bastasse venerdì abbiamo discusso pesantemente. Non ci siamo ancora scritti. Domani a scuola spero di chiarire, perché mi sono reso conto che forse ho esagerato e mi manca.

Inizio a scaldarmi, ho sempre in testa lei, anche il mio allenatore si accorge che non sono molto concentrato ma non ci riesco proprio.

E’ il momento di partire, sento lo sparo. Parto in ritardo: sono un po’ indietro ma recupero in fretta mettendomi in seconda posizione, qualche metro più avanti c’è il mio avversario.

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Ha una faccia familiare, ma non riesco a capire chi sia perché è troppo distante. Siamo a metà gara e la situazione è rimasta uguale: io secondo, lui primo e tutti gli altri dietro. La gara è quasi al termine e il distacco tra me e lui è diminuito parecchio. Riesco a vederlo in viso, ora lo riconosco! E’ quello che alle qualificazioni era arrivato dopo di me. Sì, è proprio lui, ora che ci penso era l’unico vestito di verde.

Oggi sembra molto nervoso, forse vuole prendersi la sua rivincita. Il suo nervosismo mi motiva, mi sprona ancora di più a vincere.

Mancano dieci metri e mentre lo sto superando mi spinge via facendomi cadere a terra. Cado in modo rovinoso e impatto violentemente con il terreno. Sono sdraiato a terra, tutti mi sorpassano cercando di evitarmi. Provo ad alzarmi ma senza successo, sento dolori atroci a un ginocchio e a un piede. Il mio allenatore preoccupato entra in pista e corre verso di me. Sono cosciente, sono sempre restato cosciente ma non riesco a rimettermi in piedi. Il dolore è troppo forte per parlare e inizio a piangere. Vista la situazione decidono di chiamare l’ambulanza. Nonostante i soccorsi arrivino nell’arco di una decina di minuti, questo tempo per me è interminabile. Non passa mai.

Mentre aspetto i soccorsi i miei compagni vengono a consolarmi. Mi dicono che Giorgio, così si chiama, è stato squalificato dai giudici di gara. L’episodio è stato talmente plateale e scorretto che non poteva passare inosservato.

Finalmente l’ambulanza arriva: scendono due soccorritori che per prima cosa mi mettono il collare, giusto per precauzione. Poi mi immobilizzano la gamba destra e mi spostano delicatamente sulla barella. Mi caricano sull’ambulanza e partiamo. Comunicano alla mamma di Lollo l’ospedale dove mi avrebbero portato, lei mi rassicura e mi dice che ci saremmo rivisti lì a breve.

Durante il tragitto a sirene spiegate, non riesco a realizzare che sia successo veramente a me: il mio sogno di indossare la maglia azzurra e di rappresentare il mio paese potrebbe svanire. Gli sforzi, l’impegno, la fatica e il sudore di ogni allenamento che mi hanno portato a conquistare la tanto desiderata qualificazione alle Olimpiadi potrebbero non essere stati sufficienti per colpa di un ragazzino invidioso, incapace di accettare una sconfitta. Cerco di non pensarci, cerco di convincermi che non sia nulla di grave. Ma le emozioni sono tante, contrapposte, positive e negative nello stesso momento. Sono confuso e preoccupato. Ho paura.

Sono arrivato in ospedale. Pochi minuti dopo arriva Lollo con sua madre e il mio allenatore. Io sono sempre più agitato, non so cosa pensare: una storta o un infortunio grave? Dovrò restare fermo per un breve periodo o dovrò rinunciare alle Olimpiadi? Mentre sono sopraffatto da queste riflessioni un infermiere mi chiama per i primi accertamenti.

Capitolo 15 (Chiara Bardella)

Sono in ospedale con Lollo, sua madre ed il mio allenatore. Per fortuna non mi hanno lasciato solo. Un grande orologio sulla parete indica l’ora, sono le 13.30.

Un infermiere si dirige verso di me e spingendo la sedia a rotelle, su cui mi hanno fatto sedere, mi porta nella sala medica. Il dolore è acuto, il piede è molto gonfio ed improvvisamente sento un pugno nello stomaco e vomito. L’infermiere immaginava che sarebbe successo e così si è avvicinato immediatamente e mi ha aiutato. Mi ha ripulito un po’, ero piuttosto indecente e finalmente mi ha portato dal dottore. Non voglio entrare da solo, ho paura, quindi prendo la mano del mio allenatore che mi accompagna.

Entro in una stanza dove c’è un’infermiera seduta alla sua scrivania che mi chiede mille informazioni. Ma il dolore è sempre più forte e chiedo aiuto. Così l’infermiera mi guarda in viso e capisce che sono stravolto.

Arriva il dottore, e mi stendono sul lettino. Mi visita e mi comunica la sua diagnosi: frattura del metatarso. Chiama un infermiere e ci accompagnano in radiologia. Dopo circa trenta minuti abbiamo l’esito che conferma la frattura. Quindi ci accompagnano nella sala dei gessi, dove una dottoressa mi accoglie con tanta dolcezza. Lei e un infermiere mi ingessano dal ginocchio in giù, e nonostante tutte le attenzioni dei dottori, provo un dolore atroce. Sono trascorse tre ore, e i dottori decidono di tenermi in osservazione tutta la notte.

Nel frattempo mi spiegano la terapia che dovrò seguire. Dovrò assumere compresse di antidolorifici e restare a riposo con la gamba immobilizzata dal gesso per venti giorni. Dopo questo periodo dovrò ritornare in ospedale e i dottori decideranno se posso togliere il gesso. Non è finita qui, mi attendono molto probabilmente due settimane di fisioterapia.

Non poteva succedermi qualcosa di peggio, mi sento angosciato nell’immaginarmi in equilibrio su delle stampelle e non sulle mie gambe; i miei occhi si riempiono di lacrime e domando al dottore se potrò riprendere l’uso della gamba come prima. Lui con un sorriso ed una pacca sulla schiena mi tranquillizza dicendomi: "sarai così veloce e forte che i leoni mangeranno la tua polvere”.

Il dottore mi rassicura e io gli credo, mi accompagnano in una piccola stanza dell’ospedale e mi fanno distendere sul lettino. So che rimettermi in forma sarà un’impresa, ma io mi conosco e sono sicuro di potercela fare.

Mi assicuro che il mio allenatore rimanga con me tutta la notte, anche se al mio fianco avrei voluto avere la mia Desirée. Sono dispiaciuto per il nostro litigio, non la sento da un po’ e sono in pensiero per lei. Non ci siamo sentiti e penserà che io non provi più interesse. Credo di non averle mai davvero raccontato quanto sia grande il mio sentimento. Sono uno stupido. Ho bisogno di sentirla e decido di chiamarla, il telefono squilla e sono agitato ma il suo dolce ciao mi tranquillizza, le racconto quello che è successo e dopo quasi quaranta minuti lei è qui con me accompagnata da sua madre. Ormai è notte fonda e la madre di Desirée e l’allenatore si addormentano nella stanza in cui ci troviamo. Io e Desirée trascorriamo tutta la notte a parlare di noi.

Mano nella mano ci addormentiamo, ormai sfiniti.

Capitolo 16 (Samuel Campagnaro)

Il vento fischiava a mille all’ora mentre la vecchia ma ruggente Alfa Quadrifoglio di Renato schizzava per le vie di Quarto, inseguita dalla polizia a sirene spiegate: sembrava di essere dentro ad uno di quei film degli anni ’70 che tanto andavano di moda tempo fa e che vedevo qualche volta ad Affori.

In macchina eravamo in quattro, oltre a me c’erano: Renato, l’unico tra noi ad avere una certa esperienza di guida visto che era maggiorenne; Carlos, soprannominato el gordo perché gli piaceva mangiare nachos e burritos, aveva un padre condannato per traffico di droga ed era il fulcro dell’operazione. Per ultimo, ma non meno importante, avevamo Igor, originario della Siberia e per questo il più freddo tra noi.

Eravamo una squadra che, se si sommavano gli anni, non raggiungeva i settanta, ma per diversi motivi (logistica, freddezza e spensieratezza) potevamo essere la nuova banda di Affori.

Ma partiamo bene dall’inizio di questa triste esperienza: non ho mai voluto far del male al prossimo, benché io abbia vissuto sulla mia pelle violenze di vario genere e degrado sociale. Il fatto è che con Igor, Carlos e Renato ci conoscevamo fin da piccoli perché anche loro erano ospiti chi di una casa famiglia, come me, chi di comunità della stessa zona. Eravamo spesso assieme e, come succede in questi casi, un po’ per gioco, un po’ per noia (nel nostro caso anche per esigenza) un giorno ci siamo chiesti come sarebbe stato fare qualcosa da adulti, sentire il brivido sulla pelle nel commettere un gesto folle e allo stesso tempo fuori dalla quotidianità. L’esigenza, dicevo prima, era data dal fatto che un giorno Renato, il più grande, ma a volte il più infantile, si indebitò con certa gente della Comasina per una cifra che non poteva coprire. Da qui l’idea di raggranellare un po’ di soldi e al contempo sentire i brividi dell’adrenalina nel compiere un gesto tanto stupido quanto eroico, dal nostro punto di vista di allora.

Dopo aver passato del tempo a pianificare il colpo (avevamo scelto una banca o un supermercato), non ne parlammo più per delle settimane e la cosa sembrava svanita nel nulla come tanti altri progetti che avevamo avuto assieme.

Però quel freddo e grigio pomeriggio le cose andarono diversamente: verso le due e mezza passò a prendermi Renato con la sua Alfa dicendo che voleva farmi fare un giro in compagnia del resto dei ragazzi. Io, essendo già molto impegnato in quel periodo con gli allenamenti, avevo proprio voglia di farmi un giretto che mi potesse rilassare dai numerosi impegni. Così passammo a prendere prima Igor e per ultimo Carlos. Inizialmente non notai nulla di strano, perché i discorsi erano sempre i soliti, la musica era a palla e le gomme stridevano. Non mi ero minimamente insospettito sul reale motivo di quella gita. Tutto mi fu più chiaro, anzi, lapalissiano, quando spuntarono i ferri da una borsa nascosta sotto al sedile di Renato. Tre vecchie ed arrugginite pistole uscirono improvvisamente assieme a delle maschere da circo comprate chissà dove e sicuramente ad un prezzo ridicolo, almeno pensai subito, vedendo tutta la mercanzia molto conciata.

In fretta e furia chiesi spiegazioni, ma tutti i miei amici restarono muti. All’improvviso Renato mi disse che avevano pianificato nei giorni passati, proprio mentre io mi allenavo duramente, il colpo ad una gioielleria che, a loro dire, era poco in vista e dunque più vulnerabile, nel quartiere di Quarto Oggiaro, proprio a due passi da dove abitavamo!! Rimasi sbalordito da tanta sicurezza e premeditazione nel compiere un gesto che al momento mi sembrava totalmente stupido, benché ne avessimo parlato in passato. Io non avevo la minima intenzione di unirmi a quei tre scellerati…io dovevo andare alle Olimpiadi, mica a San Vittore.

Però, al contempo, non volevo assolutamente che i miei compagni andassero incontro a qualche situazione pericolosa o peggio. Allo stesso modo, loro non volevano che io mi potessi macchiare di alcun crimine, quindi mi svelarono subito che, nei loro piani, io dovevo solamente essere il palo dell’operazione. Preso alla sprovvista, accettai quasi per zittirli e non dover sentire la paternale sull’amicizia che deve condividere tutto. Quindi sembrai anche contento di avere un ruolo minore, ma al contempo importante, per non insospettirli o farli arrabbiare.

Arrivati in zona e pronti ad entrare in azione, come in un film di Tarantino, sbucò fuori dal nulla una pantera della polizia che sembrava aspettasse proprio noi. I ragazzi non fecero nemmeno in tempo a scendere dall’auto che gli agenti, scesi armi in pugno, ci intimarono l’alt. Renato reagì pigiando sull’acceleratore e in un baleno ci ritrovammo nel mezzo delle viuzze di Quarto con alle nostre spalle l’intero commissariato di zona pronto a tutto pur di fermarci con qualsiasi mezzo.

Imboccata una vietta stretta, buia e densa di insidie, Renato improvvisamente dovette fermarsi: eravamo finiti in un vicolo cieco proprio sul retro del supermercato di zona. In un microsecondo una nuvola urlante di poliziotti ci circondò costringendoci a buttare a terra le nostre armi. Di colpo mi sentii strattonato con forza fuori dall’auto e udii qualcuno urlarmi comandi senza riuscire nemmeno a capire dove fossi e cosa stesse succedendo.

Il mio cuore batteva a mille, chiusi gli occhi per paura e…quando li riaprii, stringevo con la mia mano sudata la mano di Desirée che, spaventata, mi chiese come stessi, in quanto mi ero agitato per una buona oretta ed avevo sbiascicato parole senza senso nel profondo del mio dormire. Avevo rivissuto nel sonno quei momenti così delicati del mio passato….

Decido così di raccontarle tutto riguardo i miei sbagli, essendo la mia ragazza glielo devo. Ho un certo timore delle sue reazioni al riguardo, ma il suo silenzio ed il suo sguardo mi fanno capire che sarà sempre dalla mia parte e che tutto sarà ok.

Mi dice solo di stare tranquillo e di riposarmi perché Tokyo mi sta aspettando…

Capitolo 17 (Matteo Finotti)

Passata la notte con Desirée, l’infermiere mi comunica che tra poco mi dimetteranno dall’ospedale e che potrò tornare alla vita di tutti i giorni. Dopo questa notizia mi rassereno, perché non ne potevo più di stare su un lettino a fissare un quadro del corpo umano appeso di fronte al mio letto.

Alle 11.30 mi portano con la sedia a rotelle in un ufficio insieme alla mamma di Lollo, per fare tutte le autorizzazioni per uscire dall’ospedale. Quando la mamma di Lollo ha finito di parlare con la dottoressa, un signore alto, con gli occhiali, capelli bianchi e barba lunga, si dirige verso di me con in mano due stampelle nere. Per me sarà impossibile camminare con dei bastoni al posto di una gamba, non ho mai tenuto una stampella in mano, e l’idea di zoppicare per le strade invece di camminare come tutti mi preoccupa molto. Usciamo dall’ufficio e subito sono travolto da un abbraccio di Desirée, anche lei è stupita dal fatto di vedermi con le stampelle e scoppia in una mezza risatina.

Usciti dall’ospedale, inizio già ad avere dei problemi con le stampelle e mi faccio dare lezioni dalla mamma di Lollo che dice di avere avuto in passato molta esperienza al riguardo.

Comunico all’allenatore che dovrò tenere il gesso per venti giorni, e lui risponde dicendo di aver già ricevuto le informazioni dall’ospedale. Ha già predisposto un elenco di esercizi da eseguire quando tornerò a correre.

Ci dirigiamo verso un McDonald’s, perché la mamma di Lollo ha deciso di offrire il pranzo a tutti… Finito di mangiare chiedo a Lollo se posso andare agli allenamenti con lui perché mi piacerebbe molto vederlo all’opera. Lui risponde di sì, e sembra essere molto felice della mia proposta.

Dopo aver accompagnato tutti a casa, la mamma di Lollo ci lascia al campo degli allenamenti. Lollo si dirige verso gli spogliatoi mentre io vado sugli spalti. La vista da qui è spettacolare, non avevo mai visto il campo così vuoto, c’è un bellissimo silenzio e inizio a pensare. Penso a come tutta la gente seduta, dove sono io, possa vedermi correre e tifare per me. Deve essere un’emozione enorme vedere tutti gli spalti pieni di persone che tifano per la propria nazione, ed io sarò tra quelle persone che trasmetteranno emozioni.

Ecco Lollo, con lui ci sono Adam e Gianluca, due suoi compagni di squadra, anche se di solito sono in quattro, ma uno è malato. Il loro allenamento dura due ore e si divide in tre parti: la prima parte è il riscaldamento, la seconda parte è interamente dedicata alle partenze, perché è fondamentale avere una buona partenza, mentre nell’ultima parte svolgono delle piccole "garette" tra di loro.

Sto assistendo al riscaldamento, gli esercizi sono come quelli che faccio io, un po’ di esercizi per la rapidità di piedi e un po’ di mobilità delle anche, indispensabile per chi fa marcia.

Ecco la parte dedicata alle partenze, che sono un po’ diverse tra chi fa gli 800 e chi pratica marcia, ma si assomigliano molto. Ho sempre invidiato Lollo per le sue partenze, vorrei imparare a partire come lui, a volte gli chiedo di insegnarmele, ma dice che non c’è una vera e propria tecnica, ma è solo questione di un buon tempismo.

E ora arriva la parte che preferisco, quella delle gare, sono sempre stato un amante delle competizioni e vincere mi piace molto.

Finito l’allenamento, mi congratulo con Lollo perché si è allenato molto bene e con serietà. Mentre aspettiamo sua mamma, mi chiede come va il piede, ed io rispondo molto bene, perché mi ero già dimenticato di avere il gesso, e questo è un bon segno perché significa che mi sono già abituato…

Ecco la mamma di Lollo che ci fa salire in macchina. Nel giro di venti minuti siamo già arrivati alla casa famiglia, saluto Lollo e sua mamma che mi augurano la buona notte e se ne vanno.

Entro nella mia stanza, mi sistemo e vado a letto, la prima cosa che mi viene in mente è Desirée, come tutte le sere, e poi penso a come sarà lungo questo mese e mezzo senza correre. Sarà difficile riprendere, ma so che non mi arrenderò e ce la metterò tutta.

Capitolo 18 (Andrea Martino)

Suona la sveglia. Mentre cerco di vestirmi e prepararmi, con il gesso che complica tutto, ripenso all’allenamento di Lollo ed a quanto io voglia tornare ad allenarmi, invece sono qua in camera che prendo compresse antidolorifiche e non riesco a camminare senza le stampelle.

Anna oggi mi ha portato la colazione in camera e mi ha anche accompagnato giù per le scale, dato che non c’è nessun ascensore nella casa famiglia. Mi ha anche accompagnato alla macchina della mamma di Lollo. Anna dice che mi aiuterà finche non imparerò bene a camminare da solo con le stampelle. Arriviamo davanti a scuola e Lollo e Desirée mi aiutano a sedermi in classe.

La giornata scolastica è passata piuttosto in fretta e dopo scuola decido di uscire insieme a Desirée e a Lollo. C’è anche Margherita, una sua amica, dice lui, anche se secondo me e Desirée non sono solamente amici, ma si piacciono a vicenda. Andiamo a cena in una pizzeria del centro, la pizza è molto buona. Come sospettavamo, appena usciti dal ristorante Lollo e Margherita iniziano a baciarsi e se ne vanno a casa insieme, mentre io e Desirée decidiamo di fare un giretto per il centro e poi torniamo a casa: è un po’ tardi e domani c’è scuola.

Appena abbiamo finito il giro per il centro, a Desirée squilla il telefono; è sua madre che dice che sta arrivando a prenderci. Ci sediamo in attesa su delle panchine un po’ al buio e dobbiamo fare una strana impressione perché siamo stanchi morti dalla serata, ci siamo addormentati uno addosso all’altra e siamo anche riusciti a raccogliere involontariamente cinque euro e cinquanta in un bicchiere della Coca Cola davanti a noi per caso, finché non ci svegliano gli abbaglianti della macchina della mamma di Desirée.

Salito in macchina, rimpiango di non essere stato seduto tutto il tempo invece di continuare a camminare, perché iniziano ora a farmi male le gambe. La mamma di Desirée mi ha accompagnato fino all’ingresso, dove ad aspettarmi c’é Anna che mi aiuta a salire in camera. Mentre sto per addormentarmi penso alla serata, al mio infortunio e al mio futuro: Desirée è felice di stare con me? Riuscirò a riprendermi in tempo per le Olimpiadi? Ma soprattutto: riuscirò a vincerle?

La mattina è la solita storia di pastiglie e stampelle fino a scuola e oggi c’è solo Lollo che mi accompagna in aula perché Desirée ha la verifica di matematica, ci tiene a prendere un bel voto e vuole essere concentrata per dare il massimo. Io sono in classe e non ascolto una singola parola di quello che dicono i professori perché sono concentrato sui miei pensieri e infatti vengo richiamato più di una volta, non ascolto nessuno tranne il supplente di Scienze Motorie che mi dice che dopo mi deve parlare. Penso subito a cosa posso aver fatto di male: vuole sgridarmi o deve solo dirmi qualcosa ? Come promesso, è giunto finalmente il momento di svelarmi il mio passato ?

Finita l’ora di teoria andiamo in palestra. Quando tutti si vanno a cambiare io rimango fuori poiché ovviamente non posso fare attività fisica con il gesso e il professore, dopo aver sistemato il materiale per la lezione, viene da me e mi rassicura dicendomi che non ho fatto nulla di male ma semplicemente un giorno di questi vuole che ci vediamo a pranzo per parlare dei miei genitori...il mio cuore batte all’impazzata.

Arrivano un paio di miei compagni e quindi interrompe il discorso, inizia a dire gli esercizi da fare, si gira verso di me e schiacciandomi l’occhiolino mi dice che ne riparleremo presto.

Capitolo 19 (Pietro Villa)

Oggi per me è una giornata veramente speciale: dopo venti giorni finalmente posso togliere questo maledetto gesso che mi ha impedito per quasi un mese di allenarmi, di raggiungere i miei obiettivi e i miei sogni. I medici mi hanno detto che potrò riprendere gli allenamenti, però in modo lento e regolare. Sono molto felice di ricominciare gli allenamenti!

La mamma di Lollo mi passa a prendere per le cinque e quaranta per andare al mio primo allenamento dopo tantissimo tempo, sono molto intimorito perché non so se la mia gamba reggerà tutto lo sforzo che farò. Appena sono entrato nella pista di allenamento, il mio mister e i miei compagni mi hanno accolto molto calorosamente. Il mio allenamento ovviamente è differenziato per riprendere con calma, inizio con delle semplici corse blande, poi scatti fino a cinquanta metri, la gamba mi trema e purtroppo molte volte la sento cedere.

Finite le due ore di allenamento il mio allenatore mi ferma e mi dice che questa settimana mi dovrò allenare tutti i giorni per riprendere una buona forma fisica ed essere pronto al cento per cento per le Olimpiadi. Appena tornato dagli allenamenti mi metto a dormire, sono davvero stanco.

Alla sera ripenso alle parole del prof di Scienze Motorie. Ha detto che mi deve parlare di cose importanti e questo mi imbarazza molto, ma al tempo stesso mi riempie di speranza. Domani avrò una verifica e due interrogazioni ma io oggi non ho fatto niente a causa degli allenamenti e di tutti i pensieri che ho in testa. So che alcuni professori sono stanchi di questo mio atteggiamento di menefreghismo nei confronti della scuola e avranno anche ragione, ma io in questo periodo mi devo concentrare sulle finali olimpiche che potrebbero dare definitivamente una svolta alla mia vita. La corsa è la passione più importante che ho: voglio trasformare questa passione in un lavoro.

Appena la campanella suona, corro subito da Desirée per parlare un po’ di tutto quello che mi sta accadendo. Lei come sempre riesce a strapparmi qualche sorriso. Alle 5 mi aspettano di nuovo gli allenamenti, non vedo l’ora di allenarmi per migliorare ed essere super pronto per le Olimpiadi.

Finite le due ore di allenamento il mister mi parla dicendomi che è molto preoccupato, non sa se sarò in grado di partecipare alle Olimpiadi perché la mia gamba potrebbe non reggere uno sforzo cosi grande e impegnativo. Nel sentire queste parole sono molto dispiaciuto e triste, però non voglio darmi per vinto. Voglio dimostrare a tutti, ma soprattutto al mio allenatore, che con tanti sacrifici e con tanto impegno sono in grado di raggiungere qualsiasi obiettivo.

Oggi è un altro impegnativo giorno di scuola. Le Olimpiadi sono sempre più vicine, inoltre domani devo andare a pranzo con il prof. Davvero mi racconterà la storia dei miei genitori ? Sono così agitato…

Come di consueto al pomeriggio affronto gli allenamenti con grinta. Non vedo l’ora di dimostrare al mio allenatore che sono in forma, mi sento leggero e allo stesso tempo molto veloce, pronto per affrontare qualsiasi gara.

E’ arrivato il momento: oggi, dopo tanta attesa, devo vedermi con il prof. Ci siamo dati appuntamento alle dodici e mezza in un ristorante vicino a casa sua.

Dopo una mezzoretta si presenta il prof. E’ vestito molto elegante, ha i capelli tirati su con un po’ di gel e la barba molto curata. Entrati nel ristorante, ci sediamo vicino alla finestra e dopo neanche cinque minuti comincia a raccontarmi tutto…

Capitolo 20 (Daniele Ciarrapica)

Inizia a dirmi, come prima cosa, che mio padre e mia madre non hanno avuto una vita facile in Colombia.

Mi dice che mio padre ha fatto parte di una banda criminale. Commettevano reati tra cui spaccio, rapine e furti. Nel sentire queste cose mi vengono i brividi, tremo e sono sconvolto. Il professore continua il suo discorso, mi dice che questa banda è stata famosa in tutta l’America Latina. Io gli chiedo subito come stanno i miei genitori e lui mi risponde balbettando e cercando di usare le parole più corrette: “James, purtroppo, ora tuo padre si trova in carcere condannato all’ergastolo…e tua mamma…tua mamma è stata…è stata rapita tempo fa e fatta prigioniera da un’altra banda colombiana nemica di quella di tuo padre. Al momento non ho altre notizie”.

Dopo queste parole scoppio a piangere, non riesco più a parlare. Il prof si avvicina a me con la sedia, mi dà un grosso abbraccio e mi dice di stare tranquillo perché la polizia colombiana sta lavorando duro per ritrovare mia madre. Mi rassicura riguardo il fatto che mio padre è stato messo in un carcere di massima sicurezza, ed è protetto dal pericolo di essere ucciso dalle altre bande.

Dopo le ultime parole rassicuranti del prof, mi tranquillizzo un pochino e gli chiedo come fa a sapere tutte queste cose. E poi, come faccio io ad essere in Italia ? Come ci sono arrivato ? Il prof mi guarda dritto negli occhi e mi dice: “James, ascoltami bene, tieniti forte: io sono il fratello di tuo padre, io sono tuo zio, colui che ti ha portato in Italia”.

Io mi sento mancare, sono sempre più sconvolto. Lo guardo negli occhi, lo abbraccio e, divorato dalla curiosità, gli dico: “Ora però raccontami tutta la mia storia”.

Lui inizia il suo racconto: “All’età di circa trent’anni tua madre ti partorì in Colombia, a Medellín. Io a quei tempi vivevo ancora in Colombia e facevo parte della banda di mio fratello, tuo padre. Tua madre era molto preoccupata per il tuo futuro e io ero ricercato per una rapina, così a vent’anni decisi di andarmene via da quel posto e di scappare in Italia con documenti falsi. Tua madre voleva partire per l’Italia insieme a me, con te neonato, ma prima della nostra partenza venne arrestata e condannata a tre anni con l’accusa di spaccio. Tuo padre riuscì a scappare in Brasile e trovò il modo di far partire noi due, tu ed io. Appena arrivammo in Italia scoprirono la mia vera identità e mi arrestarono. Fui condannato per sette anni e scontai la pena in un carcere a Palermo, mentre tu sei stato affidato a una casa famiglia di Milano, quella in cui vivi tutt’oggi. Appena uscito dal carcere, cercai di farmi una nuova vita e anche di ritrovare te. Ho cambiato completamente vita, mi sono messo a studiare duramente per costruirmi un futuro ed ora eccomi insegnante. Appena laureato cercai lavoro al sud, ma c’erano poche opportunità, così mi trasferii a Milano, in zona Quarto Oggiaro. Ormai è da circa cinque anni che vivo a Milano. Sapevo che eri stato portato in una casa famiglia a Milano ma non sapevo se eri stato adottato o se eri stato trasferito in un’altra città. Una mattina di circa due o tre anni fa avvenne un fatto inaspettato: sul giornale uscì la notizia di una rapina, con la fotografia del tuo volto. Anche se eri cresciuto e cambiato, ti riconobbi subito. Cercai insistentemente di avere i tuoi contatti, chiesi informazioni ovunque, cercai di fissare dei colloqui al carcere minorile Beccaria. Purtroppo non ce la feci, nessuno sembrava voler aiutarmi e così mi ero quasi arreso, ormai pensavo che tu avresti trascorso una vita malavitosa e che non ci sarebbe stato modo di incontrarci. Ma il destino ci ha fatto di nuovo incontrare: quando ti ho visto a scuola ho provato un’emozione intensa e fortissima, eri tu, eri proprio tu, ed eri un alunno di una mia classe! Non ho dormito per giorni interi, ero sopraffatto dalla felicità e dall’emozione. Dovevo trovare il momento giusto per parlarti e raccontarti tutto, ed ora eccoci qua”.

Io non ho più parole per rispondergli, sono senza fiato, impressionato, emozionato… Sono felice di avere ritrovato mio zio e di avere scoperto il mio passato, ma al tempo stesso mi sento triste per la storia della mia famiglia e le sorti dei miei genitori.

Da adesso in avanti, tutto sarà diverso per me.

Capitolo 21 (Diego Maccarone)

Ho scoperto, grazie al colloquio con il prof, tante cose inaspettate riguardo il mio passato. Ci penso in continuazione, ma adesso è tutto molto più chiaro, anche se doloroso. Mi sento più libero, è come se avessi finalmente riempito i tasselli che mancavano.

Ormai manca sempre meno all'inizio delle Olimpiadi, io mi sto riprendendo grazie alla faticosa riabilitazione che sto seguendo.

Finalmente è arrivato il fine settimana. Ho deciso di passare il sabato con Desirée, però la vedo preoccupata e le chiedo se c’è qualcosa che non va. Lei mi risponde che è preoccupata perché ha sentito parlare di un certo virus parecchio contagioso proveniente dalla Cina, ha paura che arrivi anche qui ma io totalmente tranquillo le dico che non arriverà mai e la invito a stare serena.

In realtà, io alle sue parole sono rimasto un po' impaurito, non sapevo nulla di questo virus. Davanti a lei ho cercato di darle sicurezza così che non stesse in pensiero, ma inizio a preoccuparmi anch’io.

Cala la sera e io decido di informarmi su questo nuovo virus molto contagioso di cui si inizia a parlare sempre più diffusamente. Scopro così che tra i sintomi ci sono difficoltà respiratorie, febbre alta e tosse. Sembra però che difficilmente questo virus arriverà in Italia, speriamo che sia davvero così, non voglio neanche immaginare le possibili conseguenze che potrebbero derivare dal suo arrivo. E poi, adesso che ci penso, le Olimpiadi si terranno in Giappone. Ci saranno conseguenze anche lì ?

E’ passato qualche giorno, io ho cercato di dimenticare il pensiero del virus e non sono impaurito più di tanto, ma la preoccupazione sta iniziando a salire.

Entro a scuola e noto che tutti, studenti e professori, parlano in continuazione di questo virus con toni preoccupati. Scopro così che il virus ha ufficialmente raggiunto anche l'Italia. Il mio pensiero va subito alle Olimpiadi, al momento è la mia principale preoccupazione. Le Olimpiadi verranno svolte regolarmente o verranno annullate ? Riuscirò a partecipare ? E poi, quali saranno i veri effetti di questo virus in Italia ?

Cerco di non farmi schiacciare dal pensiero ossessivo del virus e continuo a seguire la mia riabilitazione. Voglio essere pronto per le prossime gare.

Capitolo 22 (Mattia Malivindi)

Dopo mesi e mesi di preparazione, scopro che forse le Olimpiadi che si dovrebbero svolgere in Giappone potrebbero essere annullate a causa di questo maledetto virus. Decido di informarmi più dettagliatamente sull'argomento: si tratta del COVID-19, che dà luogo a una malattia infettiva respiratoria causata dal virus denominato SARS-CoV-2, appartenente alla famiglia dei coronavirus. I primi casi sono stati riscontrati in Cina, ma adesso il virus è arrivato anche in Europa, e in particolare in Italia. Una persona infetta può presentare sintomi dopo un periodo di incubazione, durante il quale può comunque essere contagiosa. Ripenso alle parole che ho detto a Desirée per rassicurarla, dicendole che questo virus non avrebbe mai raggiunto l'Italia. Mi sbagliavo…. Questa mattina è arrivata la comunicazione ufficiale della scuola, le lezioni sono sospese momentaneamente, per due settimane, proprio a causa di questo virus. Da una parte non mi dispiace non dovermi alzare all’alba per un po’, ma dall'altra sono dispiaciuto di non poter vedere i miei compagni per tanto tempo, e poi questa faccenda del virus inizia a preoccuparmi. In tarda serata scopro che non solo non si potrà andare a scuola, ma in queste due settimane si dovrà restare chiusi in casa per non rischiare di essere contagiati dal virus. Sono dispiaciuto e spaventato all’idea di non poter vedere Desirée per così tanto tempo. So che la quarantena parte da domani, allora mi metto le scarpe e vado sotto casa sua per salutarla e passare un po’ di tempo con lei. Dopo un paio d’ore torno a casa, sono abbattuto e preoccupato. Vado a dormire con una serie di pensieri fissi in testa: il virus, le Olimpiadi, Desirée…

Appena sveglio, vedo diversi messaggi dei miei preparatori e di qualche mio amico, tutti dicono che le Olimpiadi sono state sospese e ufficialmente rimandate all’anno prossimo. Sono deluso e arrabbiato, volevo partecipare, ci tenevo così tanto… Mi sentivo pronto per affrontarle ma purtroppo questo dannato virus me lo nega. Accendo la tele, si parla solo di questa pandemia e di questo virus, adesso capisco che la situazione si fa giorno dopo giorno sempre più grave e che forse le Olimpiadi non sono così importanti rispetto a quello che sta succedendo nel mondo. A casa mi annoio, non so più che fare, mi sento recluso nella casa famiglia. In accordo con il mio allenatore, decido di continuare ad allenarmi nel chiuso della mia stanza e di continuare a fare palestra ed esercizi. Purtroppo, di correre al momento non se ne parla. Dopo tre giorni ricevo un messaggio dalla mamma di Lollo in cui mi dice che Lollo, dopo qualche giorno con la febbre alta, è risultato positivo al virus. Preoccupato, lo chiamo subito per sapere come sta, lui mi risponde dicendo che sta benino, non si sente particolarmente male ma essendo risultato positivo è ricoverato in quarantena. Sono devastato, so che uscire di casa in questo periodo è un reato, puoi essere multato e rischiare sanzioni pesanti ma io senza pensarci due volte indosso la mascherina e mi precipito fuori per andare a trovare il mio amico Lollo all’ospedale. Voglio vederlo, anche da lontano ma voglio vederlo. Anna cerca di fermarmi ma non ci riesce, esco correndo dal portone della casa famiglia e in quel preciso momento passa una pattuglia dei carabinieri che mi vede e si ferma davanti a me…

Capitolo 23 (Pasquale Rubino)

I carabinieri mi hanno fatto rientrare immediatamente a casa…per fortuna niente multa. Rientrato a casa, proseguo con la mia quarantena, è strano vedere come tutto intorno a me sia chiuso. Tutti i negozi hanno le saracinesche sbarrate, tranne supermercati, edicole e farmacie.

Sento dai notiziari che ci sono stati dei veri e propri assalti ai supermercati, sembra che tutte le scorte di amuchina, mascherine e disinfettanti siano andate esaurite. E’ il segnale che adesso le persone sono davvero spaventate e iniziano ad organizzarsi per un periodo di chiusura che potrebbe essere lungo. Ma quanto lungo ? Quanto durerà tutto ciò ?

Molti supermercati hanno esposto degli avvisi con la scritta “LE MASCHERINE SONO FINITE”. Inizialmente io, come molti ragazzi e non solo, ho sottovalutato la situazione, ma a quanto pare è più grave del previsto.

L’altro giorno sono uscito per fare un po’ di spesa, l’unico motivo per cui è consentito uscire. Ho visto lunghe code davanti ai supermercati, facevano entrare una sola persona alla volta e le file si estendevano per centinaia di metri. Mentre ero in coda, ho visto in lontananza che molti scaffali sembravano vuoti, allora ho chiesto informazioni ad un signore che era in coda dietro di me, a distanza di sicurezza. Lui mi ha risposto così: “Caro ragazzo, forse è una cosa un po’ difficile da capire per te, ma molti ormai pensano che sia una “guerra”, il virus può colpire tutti, anche se quelli più a rischio sono gli anziani, infatti la maggior parte delle morti avvengono nei centri di riposo per gli anziani, perché lì il virus si diffonde molto rapidamente”.

Io sono già stufo di questa quarantena, le ore e i giorni non passano mai, anche se le cose da fare non mancano. A breve credo che inizieranno anche le lezioni a distanza della scuola. E’ difficile sopportare questa strana situazione, ma del resto per far sì che i contagi diminuiscano è fondamentale l’aiuto di tutti no.

Le prime sere di quarantena, insieme agli altri abitanti della casa famiglia, sono uscito sul balcone e abbiamo cantato l’inno italiano, è un modo per darci forza gli uni con gli altri. Ogni giorno vedo sempre meno gente per le strade, Milano sembra un deserto, non l’ho mai vista così. Però, c’è sempre qualcuno che prova ad uscire anche se non ha motivo e permesso (come stavo facendo io l’altro giorno), allora le forze dell’ordine hanno iniziato a pattugliare le strade. Ogni mattina e ogni pomeriggio passa una macchina con sopra un megafono che diffonde le seguenti parole: “cittadini, restate tutti a casa, mantenete la distanza di un metro”. Dopo qualche giorno, sono stati chiusi tutti i parchi comunali, il punto di incontro di molti ragazzi.

Alla televisione, compaiono spesso avvisi che contengono le regole fondamentali per evitare la diffusione del contagio da Covid-19. Le regole e raccomandazioni principali sono:

1 - Lavarsi le mani per almeno 20 secondi con acqua e sapone;

2 - Evitare il contatto ravvicinato con persone che soffrono di infezioni respiratorie acute;

3 - Non toccare occhi, naso e bocca con le mani;

4 - Coprire bocca e naso quando si tossisce o starnutisce, starnutire su un fazzoletto o

all’interno del gomito;

5 - Non prendere farmaci come antibiotici senza prescrizione medica;

6 - Pulire le superfici con disinfettanti;

7 - Usare la mascherina;

8 - I prodotti in arrivo dalla Cina non sono pericolosi;

9 - Gli animali di compagnia non diffondono il virus;

10 – Mantenere la distanza di almeno un metro.

La mia quarantena procede, chissà come sta Lollo, non riesco ad avere sue notizie. Chissà quanto durerà questo periodo assurdo.

Capitolo 24 (Marco Trombacco)

La mia quarantena prosegue, sta diventando una routine.

Ogni giorno, da quando hanno chiuso le scuole, mi alzo presto, intorno alle 8, e faccio colazione. Mi lavo e mi vesto come se dovessi uscire di casa e poi inizio a seguire le lezioni a distanza previste per la giornata, anche se a volte non è facile. Le lezioni sono iniziate da pochi giorni, ma ho già riscontrato problemi di collegamento, il wi-fi della casa-famiglia non è molto stabile. Inoltre è più difficile stare attenti, perché a casa ci sono molte più distrazioni che a scuola.

Una volta finito di seguire le lezioni, pranzo insieme ai miei amici della casa-famiglia e poi ho tutto il resto della giornata libero, ma non posso fare quello che amo di più, cioè correre, quindi ogni giorno per mantenermi in forma continuo a fare palestra ed esercizi al chiuso, anche se non credo che mi aiuteranno molto per vincere le Olimpiadi.

Ogni giorno dopo gli allenamenti faccio i compiti per il giorno seguente e ho deciso di iniziare a leggere alcuni libri per passare il tempo. In questo periodo di quarantena ho già quasi finito l’intera serie di Harry Potter e quando non leggo guardo alcune serie tv, le mie preferite sono La casa di carta e Vis a Vis.

Abbiamo escogitato un passatempo divertente che ci distrae: tutti i giorni alle 18 esco sempre sul balcone e insieme a tutti gli altri della casa famiglia cantiamo a squarciagola per alcuni minuti, il tutto è seguito poi da un applauso per i medici e gli infermieri che sono i veri eroi di questa battaglia contro il virus. Anche se non conosco la maggior parte delle canzoni che si cantano, in questo difficile momento è bello ritrovarsi tutti insieme al balcone, anche se a distanza, e condividere una parte della nostra giornata.

Dopo cena guardo sempre un film e chiamo Lollo, per sapere come sta. Ultimamente gli si è abbassata un po' la febbre, migliora di giorno in giorno e sembra guarire in fretta. Di questo sono molto contento e sollevato. Non vedo l’ora di tornare alla normalità e di andare a correre insieme a lui, come facevamo prima di tutto questo.

Ogni sera, una volta a letto, penso ai miei amici che mi mancano molto e a quando tutto questo sarà finito e potremo di nuovo uscire tutti insieme, ma soprattutto penso alla mia cara Desirée. La chiamo sempre per sapere come stanno lei e la sua famiglia. Mi manca un sacco passare del tempo da solo con lei.

Spero che tutta questa complicata situazione si risolva nel minor tempo possibile perché diventa ogni giorno più difficile stare chiusi in casa senza poter uscire, anche se sentendo i dati sui contagi e sui decessi dal telegiornale e da internet non penso che la quarantena finirà presto.

Ma quando sarà finita sarà ancora più bello ritornare alla vita e riprendere ad allenarmi liberamente. Sarà una gioia uscire di casa e rivedere tutti i miei amici, e soprattutto rivedere Desirée…

Capitolo 25 (Mirko Castorina)

E’ passata solo qualche settimana e già faccio fatica a seguire tutte queste lezioni a distanza. A volte rischio di addormentarmi nel bel mezzo della spiegazione, perdendo così dei pezzi importanti della lezione.

Penso che ci siano diversi pro e contro per questo tipo di lezioni. I principali pro sono: essere a casa e potersi rilassare senza essere sgridato, ovviamente spegnendo la fotocamera, ascoltare la musica di sottofondo e prenderti qualche pausa ogni tanto. I contro sono: essere interpellato a sorpresa quando non stai seguendo, prendersi il rimprovero e, se la fotocamera è accesa, il rischio di farsi beccare sdraiati sul letto… Di per sé la didattica a distanza non mi dispiace affatto, poiché non facciamo un orario regolare come lo facevamo a scuola, quindi siamo meno sottoposti a ore di lezioni dalla mattina presto fino all’ora di pranzo o anche più tardi. Certo, mi manca il contatto con i compagni e gli amici.

I problemi più rilevanti di solito sono quelli legati alla connessione, che a volte può ostacolare il corretto svolgimento della lezione, ma per il resto la didattica a distanza permette che ci siano anche dei momenti divertenti tra compagni di classe o tra noi e gli insegnanti.

Ho organizzato la mia settimana tramite uno schema che ho appeso sul muro della mia camera. Le video lezioni sono protagoniste di tutte le mattinate dal lunedì al venerdì, mentre il pomeriggio e la sera me li gioco in svariati modi: dai compiti agli allenamenti, dalla tv al biliardino alla lettura.

La sera mi piace uscire sul balcone da solo, prendere un foglio e una penna, scrivere e immaginare come potrebbe essere una possibile vittoria l’anno prossimo a Tokyo… L’unico problema che blocca la mia immaginazione si chiama Covid-19: è come un tornado che spazza via tutto ciò che vorrei diventare.

Ho sempre pensato che la corsa sarebbe stata la mia unica ragione di vita e che non mi avrebbe mai fatto smettere di sognare, fortunatamente adesso di ragione per sognare ne ho anche un’altra che si trova a casa sua in attesa di una mia chiamata, magari, o di un mio messaggio. Sì, perché Desirée mi ha aperto gli occhi come non aveva mai fatto la corsa. Io in lei ho visto il bene e un cuore grande, spero tanto che questa relazione speciale possa continuare; a me sembra stabile, ma non voglio portarmi sfiga dicendolo a voce troppo alta…

E alla fine sono qua, in attesa del week-end, i due giorni più belli della settimana; mi sveglio verso le 11 e spesso non faccio colazione, aspetto direttamente il pranzo, dipende da come mi gira…

Fatto sta che dopo il pranzo cerco sempre di trovare qualcosa che mi distragga un po', degli stimoli che non siano le solite cose e ultimamente la musica mi sta dando molto. Sto scoprendo la molteplicità di stili che si possono trovare in ogni genere, dalla trap italiana fino al rap americano. Devo dire, dopo aver fatto molti ascolti e aver visto molte traduzioni, che nella maggior parte dei casi, se non si sta parlando di icone di quel genere, i testi non sono mai esempi da seguire alla lettera, ma in fondo i cantanti più comunemente chiamati rappers o mc’s o trappers tendono a coinvolgere il loro pubblico con la melodia; il testo viene in un secondo momento.

Arriva la domenica sera e sono distrutto al pensiero di un nuovo lunedì a casa, ormai i telegiornali non li ascolto più perché la situazione ce l’ho ben presente in testa e non voglio riascoltarla ogni giorno come una litania, preferisco stendermi sul letto, sperare e pregare per tutte quelle persone che al di fuori delle mura della mia casa famiglia stanno facendo miracoli per salvarsi e per salvare.

Ah, mi dimenticavo: Lollo è completamente guarito, finalmente una bella notizia.

Capitolo 26 (Luna Gianessi)

Non capisco, è da tre giorni che sento Desirée così distante e lontana, posso capire che il periodo non sia dei migliori, mi ha anche raccontato che un suo cugino è stato contagiato dal Covid19 ed è in gravi condizioni, però non può fare così! Lei lo sa, anche se non ci vediamo io ci sono e ci sarò sempre per lei, quindi perché si comporta così ?

Allora ho escogitato un piano, le ho fatto arrivare tramite Anna una chiavetta con all'interno tutte le nostre foto e una dedica che le faccia capire quanto mi manca.

Purtroppo ho ottenuto l'effetto contrario.

Mentre siamo in video-chiamata, Desirée con il viso sconvolto mi ringrazia per il regalo e mi dice che è preoccupata per questa situazione. Il solo pensiero di potermi perdere la fa stare tanto male, è sconvolta, mi chiede scusa e termina la chiamata. Esausto e confuso vado a dormire. Per tante ragioni è stata una giornata lunga, adesso sta finendo ma non mi sento affatto più sollevato, temo qualcosa di peggio per l'indomani. Che stupido! Cosa potrebbe andare peggio ?

Non riesco a prendere sonno e così la richiamo. Non mi risponde. Ritento, alla quarta volta finalmente si decide a rispondermi. Mi dice che mantenere un rapporto a distanza è troppo faticoso per lei e mi riattacca il cellulare. Preso dalla rabbia, dalla tristezza e dalla frustrazione di non poter andare da lei, do’ un pugno al muro, ferendomi alla mano. Subito Anna, sentito il mio urlo di dolore, viene da me, mi porta in infermeria e mi medica la mano, nel frattempo le racconto tutto.

Dopo un’ora mi chiama mio zio, con il quale mi sono sfogato, e mi dice di non preoccuparmi per Desirée. Mi conforta dicendomi che Desirée sta passando un brutto periodo e ha bisogno di sfogarsi, devo avere pazienza.

Il mattino dopo mi sento uno schifo, mi fa male la testa, l'ansia amplifica il rimbombo dei battiti e, a peggiorare il tutto, sono inseguito dal ricordo del volto di Desirée, dolce ma lontano, mentre mi sfiora la fronte con un bacio. Sopraffatto mi stendo sul letto e penso solo ed esclusivamente a lei, la mia Desirée, una ragazza brillante, solare, piena di iniziativa e combattiva, sempre pronta a lottare per ciò in cui crede. La definisco una persona fantastica (questo l’ho pensato già dal primo giorno in cui l'ho conosciuta), sempre disponibile e pronta ad ascoltare. Insomma, è la ragazza ideale, quella che ho sempre sognato di incontrare. Certo, come tutti anche lei ha dei difetti, e a volte si fa dominare dalle sue paranoie…

Dopo pochi interminabili giorni, Desirée mi chiama, qualcuno le ha fatto sapere che sto soffrendo. Mi dice che è molto preoccupata per me e che non avrebbe voluto che capitasse tutto ciò ma in questo periodo è molto confusa e agisce senza pensare. Subito la conforto e le dico quanto per me lei sia fondamentale. Una separazione è sempre una separazione, il fatto di non vedersi e di non toccarsi la lacera, e lo stesso vale per me.

Cerco di spiegarle che anch'io soffro ma bisogna sempre vedere il lato positivo delle cose. Il fatto di non vedersi rafforza la percezione di sé e bisogna aguzzare la fantasia nell'inventare nuovi modi per mantenere il rapporto anche a distanza. Il fatto di stare lontani per un po' ci insegna a sorvolare sui difetti dell'altro, il desiderio poi rende più consapevole il rapporto.

Le prometto che la chiamerò ogni singolo giorno fino a quando non saremo liberi. Liberi di uscire...liberi di vederci...liberi di decidere dove andare e cosa fare. Liberi. E così è, il nostro rapporto cresce sempre di più, con tanta fiducia reciproca e senza paura di pregiudizi e giudizi.

Capitolo 27 (Nicholas Tagliabue)

In questo periodo parlo spesso con mio zio, sono davvero felice di avere finalmente un familiare al mio fianco ma soprattutto sono felice di essere venuto a conoscenza della mia storia e di sapere qualcosa di più riguardo i miei genitori.

Sto spesso in videochiamata con Lollo ed altri miei compagni di classe, oltre che con mio zio, con cui mi posso sfogare. A lui posso confidare tutto ciò che mi passa per la testa; spesso mi dà dei consigli riguardo Desirée, in questi giorni mi ha aiutato a superare i momenti più difficili.

Mio zio mi sta facendo vedere come sta restaurando casa sua, anche se data l’emergenza i lavori si sono fermati. Mi ha mostrato il progetto tramite Zoom e sembra che verrà davvero bene; chissà se un giorno andrò a vivere con lui, sarebbe davvero un sogno poter vivere finalmente con un mio familiare.

Mi manca molto andare agli allenamenti, ho paura di tornare a correre e non essere più all’altezza per le future Olimpiadi di Tokyo ed è per questo che mi sto allenando davvero tanto; spero che ci diano presto l’autorizzazione per uscire in modo da potermi allenare fuori e poter correre visto che non ho spazio per correre nella mia camera, anzi è già tanto se riesco a fare qualche addominale e un po’ di stretching.

Ho avuto notizie da Lollo: è tornato a casa, sta bene ed è definitivamente guarito. Sono davvero sollevato e felice che il mio migliore amico stia bene, mi ha detto che gli ospedali sono pieni e i dottori fanno tutto il possibile per salvare il maggior numero di vite possibile.

Poco prima di cena, come sempre chiamo Desirée. Non riesco a stare senza di lei, lo screzio che abbiamo avuto qualche giorno fa mi ha davvero scosso. Vorrei che non succedesse più.

Dopo due o tre volte che il telefono squilla a vuoto, Desirée risponde dicendomi che stava aspettando la mia chiamata e mi sento rincuorato. Mi racconta una novità che mi spaventa: sua madre non è stata bene negli ultimi giorni e si sospetta il contagio da Covid19, la stanno sottoponendo ad accertamenti in ospedale. Desirée in questo periodo si sente fragile e si angoscia in continuazione. La conforto e le dico che, anche se a distanza, io sono e sarò sempre con lei.

Capitolo 28 (Riccardo Langella)

Finalmente buone notizie! Desirée mi ha appena chiamato felicissima. I medici le hanno comunicato che sua madre è guarita e che tornerà presto a casa. Dicono infatti che fortunatamente la carica virale che l’aveva colpita non era così elevata da compromettere seriamente il suo quadro clinico. Mi sento molto meglio, è come se con questa chiamata la mia mente si fosse liberata da un grande peso che mi tormentava da giorni.

Ormai i numeri dei contagi sono in continua diminuzione e proprio per questo motivo il governo ha deciso di allentare ulteriormente le restrizioni che aveva adottato in precedenza. Tutte queste buone notizie mi riempiono di gioia, soprattutto il fatto che potrò riprendere gli allenamenti individuali per cercare di qualificarmi alle Olimpiadi di Tokyo 2021. Le giornate mi sembrano non finire mai a causa dell’impazienza del tornare a correre.

Cerco di passare il mio tempo principalmente preparandomi per il mio rientro in pista: appena sveglio vado a fare colazione per poi iniziare subito il mio allenamento casalingo che in questa ultima fase si fa via via più intenso; per quanto riguarda il pomeriggio lo sfrutto per fare lunghe chiamate a Desirée e a mio zio.

Oggi c’è stata una grande novità: ho ricevuto un messaggio dal mio allenatore che diceva che mi avrebbe aspettato domani al centro sportivo. Sono al settimo cielo, finalmente questa lunga attesa è giunta al termine. Eccomi qui, di nuovo in pista, riesco a sentire l’odore del terreno e l’aria fresca che accarezza il mio volto.

Finisco lo stretching e inizio a eseguire i primi giri. Mi ero quasi scordato questa sensazione di libertà che provavo ogni volta che correvo. Sono un po’ arrugginito ma dopo le prime ripetizioni inizio ad ingranare, è come se le mie gambe andassero da sole, mi sento benissimo. Alla fine dell’allenamento sono distrutto, di sicuro il fiato non è più quello di prima. Mi aspetta una lunga estate di allenamenti se voglio arrivare pronto per il grande giorno e di questo sono ben consapevole.

Sono sicuro che Desirée mi darà la forza per affrontare questo periodo colmo di sacrifici. Lei infatti, al contrario di quanto chiunque avrebbe fatto, non si lamenta mai dei miei impegni ma cerca sempre di incoraggiarmi e di farmi dare il massimo giorno dopo giorno ed è anche per questo che credo sia una ragazza speciale. Non manca molto e sarebbe veramente uno spreco non sfruttare al massimo questa opportunità che la vita mi sta dando. Ora va tutto bene, sono pronto a riscattarmi e Desi è pronta a supportarmi lungo questa ultima battaglia.

La mia vita finalmente sta iniziando a prendere una svolta positiva. E’ arrivato il momento di lasciarsi alle spalle il turbolento passato e guardare solo avanti.

Capitolo 29 (Davide Mariani)

22 luglio 2021. E’ passato così tanto tempo… sono successe tantissime cose ed io mi sento in forma perfetta per le Olimpiadi, che iniziano domani. Ho già svolto il mio ultimo allenamento prima della gara ed ora mi trovo in un albergo vicino allo Stadio Olimpico di Tokyo, quindi mi sembra che sia giunta l’ora di raccontare cos’è successo durante quest’anno.

L’anno scorso ho passato un’estate fantastica, dato che mio zio ha deciso di portarmi in vacanza con lui, purtroppo non al mare perché le regole da seguire a causa del Coronavirus erano troppo rigide, ma ha affittato una casa nei pressi del Lago Maggiore per due settimane; ovviamente ho invitato Lollo e Desirée ma Lollo non è venuto perché aveva già altro in programma. In compenso io e Desirée ci siamo divertiti molto e il nostro legame si è rafforzato ancora di più.

All’inizio di settembre le scuole sono state riaperte e con alcune misure di sicurezza siamo riusciti a tornare a fare le lezioni tutti insieme. L’anno scolastico è andato benissimo, ho alzato le medie dei voti che avevo in tutte le materie e non ho più litigato con Desirée.

Inoltre ho continuato ad allenarmi in modo costante ed al massimo delle mie capacità per riuscire ad arrivare a Tokyo in forma smagliante.

Ora sono qui, nel ritiro di Tokyo, e sto cercando di non pensare ossessivamente alla gara per non perdere la calma e la tranquillità ma sfortunatamente non è facile: ho sempre datoil massimo però non avrei mai creduto di poter arrivare a partecipare ad una competizione così importante alla mia età; sono sicuro che dovrò affrontare molti avversari validi ed anche se dovesse andare male avrei ancora tante occasioni per dimostrare quanto valgo.

Comunque, anche se ho molta ansia, qui con me ci sono anche mio zio e Desirée, che sono venuti per incoraggiarmi ed aiutarmi a superare questo grande ostacolo. Continuano tutti a ripetermi che mi merito di essere qui perché ho sempre lottato per arrivare alle Olimpiadi e non mi perderò un’occasione del genere a causa dell’ansia.

È mattina: mi alzo, mi vesto e vado a fare colazione. La mia gara è alle 17:30 quindi ho molto tempo da aspettare e decido di andare a fare una passeggiata al parco con Desirée.

Quando torniamo in ritiro telefono a Lollo e gli dico che vorrei andare a vedere la sua gara in programma per le 14:00. Dato che lui è specializzato nella Marcia ci posizioneremo vicino al traguardo, che si trova in una delle strade più belle di Tokyo, che per questa circostanza è stata chiusa.

Mentre aspetto di andare a vedere Lollo ricevo una telefonata da un numero sconosciuto, il primo impulso è quello di non rispondere per non perdere la concentrazione ma poi un sesto senso mi suggerisce di rispondere: sembra incredibile, ma è la voce di una donna che dice di essere mia madre. Sono al settimo cielo, all’inizio penso a uno scherzo, ma poi capisco che è davvero lei! Mi spiega tutta la situazione dicendomi che è grazie a mio zio che ora sta parlando con me. Nel giro di pochi attimi provo una serie di emozioni contraddittorie: sì, sono felice che si sia finalmente fatta viva, ma perché solo adesso ?

Perché proprio il giorno della mia gara olimpica ? Perché non lo ha fatto prima? Perché mi ha lasciato solo per tanti anni ? La felicità si mescola alla rabbia e al risentimento, ma adesso devo mantenere il controllo, mi attende una gara fondamentale per la mia vita futura e non devo perdere la concentrazione. Prima di salutarmi mi incoraggia, mi augura buona fortuna e mi promette che sarà davanti alla casa famiglia quando tornerò dal Giappone. Vado subito a parlarne con Desirée, che è molto felice per me, è incredula e commossa, mi fa un sacco di domande ma ormai sono le 12:30 e quindi andiamo a mangiare per poi iniziare a prepararci per la gara di Lollo.

La gara di Lollo comincia alle 14:00 quindi noi ci presentiamo vicino al traguardo alle 15:00 perché gli atleti devono percorrere 20 chilometri ed inizieranno ad arrivare dopo le 15:15.

Quando vediamo arrivare il gruppo cerchiamo di individuare Lollo e riusciamo a trovarlo: è in terza posizione e sta per superare il secondo, ce l’ha fatta; è secondo e sta rincorrendo il primo, si avvicina ma mancano solo cento metri, allora decide di andare alla sua massima velocità e riesce a superare anche lui. Si trova in testa al gruppo ma, purtroppo, a venti metri dal traguardo, è costretto a rallentare a causa di uno stiramento. Cerca di tagliare lo stesso il traguardo ma purtroppo finisce la gara al quinto posto. Noi gli andiamo subito incontro e gli facciamo i complimenti, non è arrivato primo ma il quinto posto non è un brutto risultato. Lollo sembra molto sereno.

Dopo la gara di Lollo, ho molta paura di subire un infortunio anche io, quindi prima della mia gara sono molto in ansia perché solo i primi quattro potranno partecipare alle semifinali. È arrivato il momento, mancano dieci minuti alla mia prima gara alle Olimpiadi di Tokyo. Nello Stadio Olimpico riesco a vedere anche mio zio con Desirée (Lollo non c’è perché è stato costretto ad andare in ospedale per la visita alla sua gamba). Mi posiziono per la partenza e quando sento il colpo, inizio a correre come ho sempre fatto, senza pensare alla difficoltà della gara e a tutta la gente sugli spalti. A metà gara sono quarto, se non mi faccio superare arrivo alla semifinale, non voglio rischiare che succeda all’ultimo momento e decido di provare a sorpassare ancora un atleta. La situazione è perfetta perché sono secondo e potrei anche provare a superare il primo ma dato che basta arrivare nei primi quattro e non voglio fare la fine di Lollo mi accontento del secondo posto. Domani mattina alle 10:30 ci saranno le due semifinali ed alle 16:00 ci sarà la tanto attesa finale.

La sera penso solo a riposare per essere al meglio la mattina dopo, quindi vado a dormire molto presto. Il giorno seguente è il grande giorno, sono così felice di essere arrivato in semifinale. Sono le 8:00, tra poche ore parteciperò alla mia prima semifinale alle Olimpiadi ma non sono più molto agitato, ora so cosa vuol dire correre in uno stadio Olimpico, sento di avere il controllo della situazione. Fortunatamente Lollo non ha niente di grave, infatti stamattina è venuto da me per farmi sapere che sta bene.

Sono in pista, mi sto riscaldando e mi sto concentrando sulla gara; vedo di nuovo mio zio e Desirée, ma stavolta c’è anche Lollo a tifare per me. Appena sento lo sparo inizio a correre come se avessi le ali, riesco ad andare ad una velocità a cui non ero mai arrivato! Mi sento benissimo, sono secondo ma mi avvicino sempre di più alla prima posizione; riesco a tagliare il traguardo al primo posto, sono molto felice, soprattutto perché sono in finale. Ho sempre desiderato un momento del genere: essere acclamato dal pubblico per una bella vittoria è una grandissima soddisfazione. E adesso mi aspetta la finale !

Ho speso molte energie per la semifinale ed ora sono già le 15:30, manca solo mezz’ora ed io non le ho ancora recuperate tutte ma non mi tiro indietro, continuerò a correre anche se rischiassi di farmi male, è l’ultima gara ed è troppo importante per me.

Manca un minuto, sta per cominciare la finale delle Olimpiadi, sono molto eccitato, emozionato ma tranquillo al tempo stesso, è una sensazione difficile da spiegare. Ecco il colpo, iniziano tutti a correre ed io cerco di andare al massimo; sono secondo, ma mancano ancora gli ultimi 100 metri e non ho più forze, cerco di tenere la posizione ma non ci riesco, alla fine sono al quarto posto… Non è finita esattamente come speravo ma non sono deluso: un quarto posto alle mie prime Olimpiadi è un grande risultato e sono orgoglioso del mio percorso; non potevo pensare di venire a Tokyo e vincere subito le Olimpiadi alla mia età e senza una grande esperienza. Non ho vinto una medaglia, non ancora, ma grazie a tutto quello che mi è successo negli ultimi due anni mi sento una persona nuova e diversa, ed è quello che conta di più. E poi, c’è ancora tempo per coronare il sogno della medaglia, già penso alle Olimpiadi del 2024 e del 2028... Vado subito da mio zio, Desirée e Lollo, che sono molto contenti per la mia prestazione e si complimentano con me. Adesso mi sento molto tranquillo e sono contento di essermi tolto il peso delle Olimpiadi, è come se sentissi un velo di serenità calare sopra di me. Continuerò ad allenarmi per riuscire a partecipare alle prossime Olimpiadi ma ora l’unico pensiero che mi passa per la mente è quello di poter finalmente vedere mia madre, che dovrebbe aspettarmi davanti alla casa famiglia. Ci sono tante cose che mi deve spiegare prima che io possa capire se sono davvero felice della sua improvvisa ricomparsa.

Siamo a Milano, non vedo l’ora di tornare a casa. Nel viaggio con il taxi fino alla casa famiglia ho parlato un po’ con mio zio e gli ho chiesto come aveva fatto a rintracciare mia madre, lui mi ha semplicemente detto che mia madre era riuscita a venire in Italia da molto tempo ed abitava a Torino, quando ha ricevuto una telefonata da lui è corsa a Milano per incontrarmi. Sarà lei a spiegarmi tutti i dettagli.

Siamo appena arrivati e davanti alla casa non vedo nessuno, il motivo è che tutti sono all’interno, la casa famiglia ha organizzato una festa per me. Sono commosso e felice…Mi indicano mia madre e corro subito ad abbracciarla, ma ci sono ancora troppe cose che non so, mi sento confuso e frenato, sto abbracciando un’estranea, la domanda che continua a ronzarmi in testa è: perché solo adesso ? Lei mi dice subito che ha molte cose da raccontarmi e da spiegare, che non dobbiamo avere fretta e che recupereremo il tempo perduto. Mi dice anche che con l’aiuto dello zio è riuscita a comprare un bell’appartamento a Milano tutto per noi, dove andremo ad abitare da subito. Questo significa che dovrò salutare tutti, allora comincio a portarmi avanti e a ringraziare i miei amici, Anna ed anche Marina.

Forse, se tutto andrà bene, potrò dire di avere anch’io una vera famiglia ma qui ho trovato persone generose e gentili che sicuramente ricorderò per sempre e con cui voglio mantenere i contatti. A questo punto, però, sono ansioso e curioso di sentire le spiegazioni di mia madre, ci sono molti aspetti da chiarire, come la cicatrice che ho sulla pancia, di cui ancora non so l’origine. Ma la domanda principale è: che fine ha fatto mio padre ?

Sicuramente mia madre saprà raccontarmi moltissime cose su di lui e forse prima o poi lo ritroveremo. Adesso mi basta sapere che lei è qui con me per essere felice e sollevato, ma la rabbia che ancora provo nei confronti dei miei genitori è tanta, spero che con il tempo riusciremo a chiarire tutto.

Bene, direi che ora inizia la nuova fase della mia vita: non ho (per adesso) vinto una medaglia alle Olimpiadi ma la corsa è la mia vita e combatterò sempre per dare il massim in ogni gara dato che il mio sogno resta quello di poter portare a casa il primo posto alle prossime. Amo correre, ho ed avrò sempre una sensazione di libertà tutte le volte che metterò piede su una pista o all’interno di uno stadio, soprattutto se sarà pieno di persone.

Dovrò fare molti sacrifici affinché questo avvenga ma sicuramente ne varrà la pena, e poi ho davanti anni per prepararmi e farò in modo che il mio nome non passi inosservato. In ogni caso so che ci sarà sempre qualcuno a sostenermi in caso di delusioni, come Desirée o Lollo, che cercano sempre di aiutarmi.

Sto ripensando al mio percorso e credo che nessuno sia stato fortunato come me: in passato non avevo quasi nessuno su cui poter contare e sono arrivato a commettere una rapina mentre adesso ho ben due famiglie, molti amici, Lollo e Desirée, due persone senza le quali ora non sarei qui. Probabilmente, però, il ringraziamento più grande lo merita mio zio, che mi ha cercato per molto tempo e poi, quasi in modo casuale, mi ha trovato a scuola. All’inizio mi sembrava una persona indecifrabile ma adesso capisco perfettamente il suo modo di agire. Grazie a lui sono riuscito a riabbracciare mia madre e sono sicuro che non lo ringrazierò mai abbastanza. Comincia la mia nuova vita…

 

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