Primo premio della nostra studentessa Piras

Il 5 maggio 2023 alcuni studenti del liceo hanno partecipato presso il Barrio's in Barona alla premiazione del Premio Scrittura Giovani, un concorso per opere inedite scritte da studenti e studentesse del territorio in cui opera Fondazione di Comunità Milano. Il tema della seconda edizione era “Narrare l’equilibrio. La salute tra mente, corpo e comunità”.

Complimenti ai ragazzi di 2ALSA, in particolare Francesca Piras, che ha vinto la sezione Junior, e a James Andrade che si è classificato tra i migliori. Complimenti anche alla 2ALSS, che ha partecipato al concorso e ha partecipato con passione al progetto.

Grazie anche a tutti gli altri partecipanti scrittori delle classi e alle professoresse Cristina Bignami e Clelia Giulia Pellegrino per l'adesione all'iniziativa.

Il concorso Scrittura Giovani

Il Premio Scrittura Giovani si pone l’obiettivo di valorizzare il ruolo delle persone giovani, le loro opinioni, i loro valori, le loro voci e al contempo di promuovere la cultura attraverso la lettura e la scrittura per favorire la partecipazione attiva di chi studia nella vita culturale e sociale della città. Quest’anno il concorso ha visto la partecipazione di 55 studenti e studentesse delle scuole di Milano e dei 56 comuni.

Il racconto vincitore di Francesca Piras: La quarta foglia

Il trifoglio che stringevo tra le mani non era solo una pianta, ma il simbolo della mia insoddisfazione. Volevo essere come la quarta foglia, quella che rompe l’equilibrio e stravolge le cose. Ho sempre pensato di voler essere diversa, un eroe; ma sono nella norma, come un trifoglio.

L’enorme quantità di quelle piante così insignificanti eppure invadenti, mi faceva uscire di testa, mi terrificava. Ad ogni passo ne calpestavo a maree, ma anche se avessi preferito evitare, non avrei potuto: l’intero terreno ne era ricoperto.

Paradossale, poiché mi ero ritirata tra quei boschi proprio per restare da sola, per prendermi una pausa da tutto quello che stava succedendo nel mondo che mi circondava.

La foresta mi calmava, era sempre stata uno spartito che come un pettine ricomponeva tutte le note dei miei pensieri rimettendoli in ordine e regalando loro un nuovo senso.

Questa volta però era diverso.

Appena mi liberavo di un brutto ricordo, una nuova preoccupazione si faceva strada tra i rami della mia mente, disordinando le sinfonie dei pensieri.

Così tutto quello che mi rimaneva erano i miei pensieri attorcigliati a quei maledetti trifogli.

La ragione per cui trovavo quelle piante quasi inquietanti era perché non facevano altro che ricordarmi della situazione in cui io e i miei amici, compagni di studi o di vita, ci trovavamo. Uniti, vicini, ma inevitabilmente soli. Accompagnati solo dalla speranza di nascere con qualcosa di diverso, importante -una quarta foglia- ma sprovvisti della forza di combattere per ottenerlo: inerti davanti all’indifferenza della natura.

Improvvisamente, camminando, mi ritrovai davanti ad un vicolo cieco, un muro di pietra alto e imponente, un precipizio che si ergeva davanti a me. Era fatto di rocce naturali, diverse tra loro per forma, dimensione e tonalità. Alcune erano lisce e arrotondate, altre angolari e taglienti come rasoi. Alcune erano grigie come la cenere, altre marroni come la terra bagnata dalla pioggia.

Osservando questo muro di pietra percepii un senso di oppressione, ma al tempo stesso di sicurezza, come se mi stesse proteggendo dal mondo esterno.

Alcune parti erano state erose dal tempo e dalla pioggia; i segni di usura e di degrado sembravano aver creato dei buchi e delle cavità nella superficie, che a loro volta ospitavano piccoli esseri viventi come insetti e piante.

Un ranger del parco una volta disse che queste rocce avevano un miliardo di anni.

Ormai nessuno apprezza più davvero un miliardo. Tuttavia, forse possiamo riscoprire il suo fascino attraverso un nuovo sguardo: ci vogliono 31 anni per contare fino a un miliardo, avrei circa 50 anni se iniziassi a contare ora.

Non so davvero cosa farne di questa informazione. So solo che qualcosa deve pur significare, perché il tempo è un noleggio. Veniamo al mondo per far parte di qualcosa che è sempre stato qui -questa foresta, questi alberi...- e che quando andremo via, sarà ancora qui. Andrà avanti senza preoccuparsi.

Non c'è nulla di empatico in quelle rocce, non sono niente. Non si preoccupano nemmeno di me, sono solo lì. Perché il tempo è solo lì; non è cominciato, è sempre stato. È, e sarà sempre lì.

Mentre le mie dita si trascinano sulla pietra, seguendo le linee create dal tempo, penso che diamo significato a cose che non significano nulla. È una cosa molto umana da fare, infatti non sopportiamo l'indifferenza della natura.

Una relazione sbilanciata: dobbiamo dare un significato alla natura, perché la vita è troppo noiosa per esistere senza di essa. Le rocce, però, non significano nulla.

Questo giorno non significa nulla, non tutto è una metafora per qualcos'altro; la quarta foglia di un trifoglio potrebbe davvero solo essere una casualità. Non dobbiamo capirlo.

Spesso mi ritrovavo a meditare appoggiata alle rocce, che mi offrivano il loro supporto silenzioso. A differenza di uno specchio, che riflette solo l'apparenza esterna, quelle pietre mi aiutavano ad esplorare parti di me stessa che tendevo a tenere nascoste.

Potevo concentrarmi solo sul mio equilibrio interno, sulla mia connessione tra la mente ed il corpo: non c'era bisogno di specchi per vedere il mio riflesso, perché potevo sentire la mia presenza attraverso la percezione del mio corpo.

In quel momento, con il muro di pietra che mi sorreggeva alle spalle, decisi di porre il mio corpo al centro dell’attenzione. Mi resi conto che la mia insoddisfazione derivava in parte dalla mia perdita di connessione con esso. Nel corso negli ultimi anni non avevo fatto altro che trascorrere lunghe ore seduta davanti a uno schermo, curvata su una sedia, trascurando le sensazioni della terra sotto i miei piedi, dell'aria fresca che entrava nei miei polmoni e della circolazione del sangue nelle mie vene.

Non riuscivo a smettere di sprecare il tempo durante le mie giornate. Era pazzesco.

Volevo fare qualcosa della mia vita, ma invece mi addormentavo, cantavo sotto la doccia o stavo seduta a fissare il muro. Non riuscivo nemmeno a raccontare nulla di ciò che avevo fatto. Non parlavo con nessuno. Le cicale continuavano a cantare fuori e, mentre i miei pensieri volavano, la mia bocca si riempiva densa e velenosa di silenzio.

“È il momento di prendere il comando della mia vita”, penso mentre mi alzo e controllo l'ora; sono terribilmente in ritardo, ma va bene cosi. “Non voglio più essere solo una spettatrice”.

Mi volto e torno indietro, attraversando i sentieri del bosco, gli alberi, i prati di trifogli.

La mia casa è a pochi passi da qui. Mentre mi avvicino, posso vedere la piccola abitazione di campagna, circondata dal verde dei campi e degli alberi.

Entro in casa e l'odore di cibo cucinato riempie le mie narici; mia madre è in cucina, intenta a preparare la cena. Non si scomoda con domande sulla mia giornata -niente fuori dall’ordinario-, mi riserva solo uno sguardo, silenzioso, che mi fa intendere di non azzardare più a tornare così tardi.

Non intimidatorio, ma subdolo, proprio come il senso di inquietudine che si insinua in me: sono ancora alla ricerca di qualcosa che mi distingua, che mi faccia sentire diversa dal solito. Ma forse è solo un'illusione. Forse tutti noi siamo solo trifogli ordinari in cerca di una quarta foglia.

Mangiamo in silenzio, immerse nei nostri pensieri, mentre fuori la notte scende sulla campagna circostante.

Dopo cena, mi ritiro nella mia stanza e mi sdraio sul letto, cercando di fare ordine nei miei pensieri: troppo difficile quando sono rinchiusa tra queste quattro mura. Guardo fuori dalla finestra e vedo il cielo stellato sopra di me, con la luna che brilla luminosa.

Sospesa tra la realtà e la notte mi chiedo se riuscirò mai a trovare la mia quarta foglia, o se rimarrò sempre un semplice trifoglio nella norma.

Non mi sono mai sentita una persona interessante. Mi infastidisce pensare di essere sempre stata noiosa e insignificante. Ma infine il mondo è così, troppo grande, troppo veloce, troppo reale... ti lascia con troppe domande. Non c'è alcun punto nel farle, ma non c'è neanche alcun punto nel non farle. Eppure, che senso avrebbe smettere di interrogarsi? Questo è il destino degli umani: domande, senza risposte.

La luce nera della notte filtra dalle tende bianche delle finestre leggermente aperte, la brezza di fine estate invade la stanza e mi sveglia dal sonno tormentato.

Cara Luna, dove posso trovare l’equilibrio nella mia vita?

"Guarda dietro di te" ma ovviamente non c'è nulla.

"Esattamente".

Voglio dire, ovviamente le risposte alla vita sono complicate, sarebbe troppo strano se non lo fossero. Forse dall'altra parte di un buco nero o nascoste nell’ombra degli alberi, le risposte ci sono, solo in attesa.

Le riflessioni notturne non mi fanno chiudere occhio. In uno stato di incertezza tra il sogno e la realtà, tutt’intorno a me la stanza comincia a cambiare forma; i libri ammucchiati sugli scaffali prendono le sembianze di foglie appese a rami, le porte dell’armadio diventano le facciate del duro muro di pietra. D’un tratto mi ritrovo in quella che sembra essere la foresta di qualche ora fa.

Ora nella notte, la luce diffusa delle stelle svela i freschi odori degli alberi e dei fiori.

Attraversando quel profumo, nessuno di loro mi rivolge attenzione; talvolta mi chiedo se quando sono addormentata, assomiglio completamente a quegli esseri della natura.

Mentre cammino, osservo la luna che illumina il cielo notturno. Mi sembra di averla vista così tante volte, ma questa notte appare diversa. È più grande, più luminosa, e sembra quasi che mi stia chiamando.

Seguo il suo richiamo, lasciandomi guidare dalla luce che mi conduce in un altro sentiero, uno che non avevo mai notato prima; è diverso dagli altri, meno battuto e più selvaggio.

Mentre procedo, sento che sto diventando parte della foresta stessa, quasi come se le piante e gli animali mi accogliessero.

Mi fermo di colpo. Sento un suono, un leggero sussurro tra i rami degli alberi. Mi avvicino, curiosa, e noto un ruscello che scorre accanto a me. Il suo mormorio mi calma, mi rilassa.

Mi siedo accanto al ruscello e chiudo gli occhi, respirando profondamente l'aria fresca della notte. Ascolto il vento tra le foglie degli alberi, il canto dei grilli, il gracchiare delle rane.

Quando riapro gli occhi scorgo l’immagine del mio riflesso nelle acque cristalline.

All’inizio è distorta, e più la metto a fuoco, più realizzo che solo un dettaglio ci distingue.

Io sono blu, so di essere blu, tremendamente blu, completamente blu. Dalla testa ai piedi fino nel sangue, di colore, blu. E non potrei essere altrimenti.

Tu, la figura leggermente distorta che vedo davanti a me, sei gialla. Maledettamente gialla. Neanche a macchie o a strisce, sei proprio gialla, più gialla che meno blu non si può. Di sangue, giallo.

Faccia a faccia, in un mondo senza amore, giallo e blu; non potrebbe essere altrimenti.

Ma c’è un luogo, una sfumatura nel mezzo -un ruscello- in cui clandestine, macchiamo le nostre vite di verde fino a quasi non riconoscerci più; niente più giallo, niente più blu. Solo il colore della natura.

Sarà forse questo l’amore, il senso, l’equilibrio? Mi hai reso di un altro colore.

Verde è ora il mio aspetto simile al tuo; chi sono, non so.

Alzandomi, ovunque mi sposti sono seguita da una scia verde, che fa germogliare trifogli e fiori lungo il mio cammino. Mi sento leggera, come se le radici delle piante mi sollevassero dal suolo. E mi accorgo che non sono sola: l’enorme quantità di quelle piante così significative e rigogliose, mi fa stare bene, mi rassicura.

Mentre mi guardo intorno, noto che le foglie intorno a me si stanno sbiadendo sempre di più, fino a scomparire del tutto. La foresta si sta dissolvendo davanti ai miei occhi, lasciandomi sola in un mondo vuoto e privo di forma.

Lentamente riapro gli occhi e per un breve attimo mi sento smarrita, con la mente che corre veloce e confusa. Poi una sensazione di pace mi avvolge come una nebbia leggera, tutte le preoccupazioni del presente svaniscono e mi ritrovo improvvisamente catapultata nelle ultime ore di sonno: cerco di ricordare ciò che ho sognato ma è come se ci fosse un leggero velo tra il ricordo e la mente, e nonostante gli sforzi per recuperarlo, il sogno sfugge via sempre di più, finché non rimane altro che una sensazione vaga e sfocata.

Comincio a vedere le prime luci all'orizzonte. Sono deboli, ma si stanno avvicinando sempre di più.

Sono in un posto nuovo, un posto che conosco bene: la mia casa. Ho gli occhi socchiusi, ma posso sentire il calore del sole che filtra dalle finestre e la fragranza del caffè appena fatto.

È stato tutto un sogno, lo so. Ma non riesco a smettere di sorridere mentre mi avvicino a mia madre, che sta preparando la colazione. Lei mi sorride e mi chiede come ho dormito, ma non riesco a raccontarle del sogno che ho appena avuto. È come se fosse un segreto solo mio, un mondo interno che solo io posso esplorare.

Solo una certezza rimane stampata nella mia mente finalmente libera dai cespugli, quella di aver trovato me stessa, il mio equilibrio.

Capisco che non importa quale sia il mio colore o la mia forma, ma solo il mio essere qui, in questo momento, in armonia con tutto ciò che mi circonda. Forse non ero alla ricerca di qualcosa per stravolgere le cose, forse per essere diversa devo solo accettare la mia normalità.

Così decido di fare un’ultima visita alla foresta, alle rocce; so che c’è qualcuno a cui devo delle scuse: quei “maledetti” trifogli. Quelle tre foglioline che imperterrite non hanno mai lasciato il mio fianco durante questo viaggio attraverso la foresta e me stessa.

Mi chino e strappo lo stelo di uno tra tanti trifogli che tappezzano il sottobosco.

Il trifoglio che stringo tra le mani non è solo una pianta, ma rappresenta la mia unicità.

Non ho bisogno più di una quarta foglia per sentirmi speciale, non voglio essere facilmente definita. Non voglio neanche più avere una vita fuori dal normale, poiché ho trovato l’equilibrio che cercavo nella quiete della vita. Nel non essere costantemente percepiti o analizzati. Nel passeggiare, sorridere a chi ci passa accanto e cogliere la bellezza del mondo senza essere assordati.